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Diritto e “rovescio” nell’adeguamento automatico della retribuzione dei magistrati

di Lorenzo Ieva*

Diritto sancito dalla legge e “rovescio” dell’applicazione pratica nell’adeguamento automatico della retribuzione dei magistrati

Sommario: 1. Premessa: la retribuzione del magistrato e il principio dell’indipendenza; 2. Il meccanismo dell’adeguamento di diritto (o automatico); 3. L’incidenza dei magistrati sulla finanza pubblica; 4. Storia dei precedenti adeguamenti automatici; 5. La media (aritmetica) e gli altri calcoli ponderali; 6. La “contrattazione” per la Corte costituzionale e la “realtà”; 7. Punti problematici e conclusioni.

  1. Premessa: la retribuzione del magistrato e il principio dell’indipendenza.

Lo stipendio del magistrato,[1] differenziato per qualifica, è fissato dalla legge;[2] l’ultima è risalente al 30 luglio 2007 ed è la legge n. 111, la quale riporta valori obsoleti.[3] Allo stipendio[4] si aggiunge la c.d. indennità giudiziaria di eguale importo per tutti i magistrati (art. 3 legge 19 febbraio 1981 n. 27; art. 2 legge 5 agosto 1984 n. 425). V’è poi il peculiare meccanismo degli scatti di anzianità (art. 3, comma 2, legge 5 agosto 1984 n. 425).

Non è stata però prevista né l’indennità di amministrazione,[5] né altro emolumento che contraddistingua la posizione del magistrato, voci retributive queste ultime che invece sono di consueto previste per la generalità dei pubblici dipendenti.

Per una nuova riparametrazione del trattamento economico,[6] ovverosia della retribuzione,[7] del lavoro professionale del magistrato occorre indi una nuova legge. Per incidens, va sottolineato come l’attività dello jurisdicere sia un’attività di tipo professionale, in quanto, oltreché in autonomia e indipendenza, è fatta sulla base dell’applicazione di norme giuridiche delle quali, secondo scienza, viene esplicata la più proficua ricostruzione ermeneutica e, indi, secondo coscienza, viene effettuata la più prudente qualificazione della fattispecie concreta.[8] Nel caso dei magistrati, in ispecie giudicanti, le funzioni pur diverse sono tutte pari-ordinate, nel senso che la diversità di funzioni non può mai dar luogo ad alcuna forma di gerarchia in senso proprio.[9]

Non esiste la possibilità di incrementare gli elementi retributivi, con contratto collettivo (come accade per il personale pubblico c.d. “privatizzato”) o con altra paragonabile procedura da recepirsi con decreto (come per il personale c.d. “a regime di diritto pubblico”). Vige solo il meccanismo del c.d. “adeguamento automatico” (artt. 11-12 legge 2 aprile 1979 n. 97 come modificati dall’art. 2 legge 19 febbraio 1981 n. 27 e art. 24, commi 1 e 4, legge 23 dicembre 1998 n. 448), oppure la possibilità di rideterminare gli emolumenti per legge, come è stato fatto più volte nel passato (oramai remoto).[10]

La determinazione della retribuzione dei magistrati direttamente nella legge, un tempo valida per tutti i dipendenti pubblici,[11] in quanto ritenuta precetto derivante dalla riserva relativa di legge prevista dall’art. 97 Cost., consente anche di corrispondere ad una esigenza avvertita dalla Raccomandazione del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa del 17 novembre 2010 (rubricata CM/Rec 2010-12) sui giudici e intitolata: “Indipendenza, efficacia e responsabilità”.[12]

In particolare, viene previsto dalla predetta raccomandazione che le regole fondamentali in tema di remunerazione dei giudici siano stabilite dalla legge (art. 53) e che la retribuzione debba essere commisurata al ruolo professionale e alle responsabilità ed essere di livello sufficiente a rendere i giudici “immuni da qualsiasi pressione od influenza esterna sulle decisioni”; nonché viene previsto il diritto ad una pensione, il cui livello deve esser ragionevolmente rapportato alla retribuzione dei giudici in servizio (art. 54).[13]

Sempre la legge (art. 2 della legge 19 febbraio 1981 n. 27, che ha sostituito gli artt. 11-12 della legge 2 aprile 1979 n. 97, e art. 24 legge 23 dicembre 1998 n. 448) prevede il meccanismo del c.d. “adeguamento di diritto” (detto anche “automatico”), rispetto agli “incrementi” periodici, che invece la contrattazione collettiva, a cadenza periodica (ora, triennale), stabilisce per le altre categorie del pubblico impiego.[14]

Va subito osservato come – dopo la “stagione” della privatizzazione-contrattualizzazione del lavoro pubblico degli anni 1992-1993[15] – che ha “consegnato” il lavoro pubblico alle dinamiche della più ampia negoziazione (condizionata però ex lege) tra le parti sociali, l’art. 24 legge n. 448 del 1998 abbia voluto in realtà assumere in considerazione la necessità di preservare, con riferimento alla parte del personale disciplinato a regime pubblicistico, una base di intangibilità dello “statuto retributivo”,[16] con particolare attenzione alla “classe dirigenziale”, secondo la nozione socio-economica,[17] ma anche giuridico-contabile,[18] presente nel lavoro pubblico rimasto regolato a regime pubblicistico.

Ciò in quanto essa è notoriamente ivi presente in entità numerica contenuta e, quindi, potenzialmente è destinata a “soccombere”, per l’esiguità della consistenza quantitativa, nei “confronti” delle altre rappresentanze, circa le rivendicazioni degli incrementi retributivi, relative alle altre e più numerose categorie di lavoratori pubblici.[19]

Quest’ultima è stata la vera funzione cui il legislatore ha adempiuto, approvando l’art. 24 della legge 23 dicembre 1998 n. 448, nel disciplinare la transizione dalla “tradizionale” regolazione pubblicistica alla nuova regolazione privatistica di tipo speciale per la più gran parte dei pubblici dipendenti.

Tant’è che i commi 1 e 1-bis dell’art. 24 cit. si riferiscono al personale dirigenziale ed equiparato di talune carriere pubblicistiche (prefetti, diplomatici, alti ufficiali delle forze di polizia e militari), mentre il comma 4 richiama il personale di magistratura, preso in considerazione a parte, nella sostanza, al fine di preservare il meccanismo (consueto) dell’adeguamento triennale della legge 19 febbraio 1981 n. 27, oltreché in considerazione della mancanza in nuce di qualsivoglia altra forma di negoziazione, che invece le carriere a regime pubblicistico conservano secondo i propri ordinamenti interni.

  1. Il meccanismo dell’adeguamento di diritto (o automatico).

Sfornita di propria contrattazione collettiva, la categoria dei magistrati risulta, dunque, quanto a periodico adeguamento della retribuzione, sostanzialmente “agganciata” all’andamento degli incrementi retributivi (laddove sussistenti), che vengano riconosciuti negli altri comparti o aree di contrattazione collettiva.

Il testo dell’art. 24, comma 1, della legge 23 dicembre 1998 n. 448 è molto chiaro:

Comma 1. A decorrere dal 1° gennaio 1998 gli stipendi, l’indennità integrativa speciale e gli assegni fissi e continuativi dei docenti e dei ricercatori universitari, del personale dirigente della Polizia di Stato e gradi di qualifiche corrispondenti, dei Corpi di polizia civili e militari, dei colonnelli e generali delle Forze armate, del personale dirigente della carriera prefettizia, nonché del personale della carriera diplomatica, sono adeguati di diritto annualmente in ragione degli incrementi medi, calcolati dall’ISTAT, conseguiti nell’anno precedente dalle categorie di pubblici dipendenti contrattualizzati sulle voci retributive, ivi compresa l’indennità integrativa speciale, utilizzate dal medesimo Istituto per l’elaborazione degli indici delle retribuzioni contrattuali”.

Dalla disposizione, emerge che le voci retributive fisse e continuative corrisposte al personale (dirigente e para-dirigenziale) ivi contemplato, disciplinato a regime pubblicistico, sono “adeguati di diritto” (con cadenza annuale), in ragione degli “incrementi medi” attribuiti alle categorie di lavoratori pubblici contrattualizzati sugli elementi fissi della retribuzione (cioè stipendio e altri assegni continuativi), che sono utilizzati dall’Istat per l’elaborazione degli indici statistici delle retribuzioni.

Questi indici statistici sulla variazione delle retribuzioni non contemplano, per tipica modalità statistica e per espresso disposto normativo, la parte accessoria e/o variabile (ad esempio, quella molto lucrosa assegnata al personale dirigenziale) e sono calcolati prendendo in esame il testo dei contratti collettivi.

Il successivo comma 4 riguarda invece esclusivamente la categoria dei magistrati e prevede:

Comma 4. Il criterio previsto dal comma 1 si applica anche al personale di magistratura ed agli avvocati e procuratori dello Stato ai fini del calcolo dell’adeguamento triennale, ferme restando, per quanto non derogato dal predetto comma 1, le disposizioni dell’articolo 2 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, tenendo conto degli incrementi medi pro capite del trattamento economico complessivo, comprensivo di quello accessorio e variabile, delle altre categorie del pubblico impiego”.

Dal comma 4, si evince che il criterio stabilito al comma 1 si applica anche ai magistrati (base intangibile), ma che, fermo restando la diversa peculiare cadenza triennale (con parziale anticipazione e conguaglio), debba tenersi conto (base aggiuntiva) pure degli incrementi medi pro capite relativi al “trattamento economico complessivo”, comprensivo di quello accessorio e/o variabile, riferito a tutte le “altre categorie del pubblico impiego” e quindi non solo al personale privatizzato-contrattualizzato.

  1. L’incidenza dei magistrati sulla finanza pubblica.

L’applicazione della surriferita normativa in materia di adeguamento, pur predicata in linea teorica come “automatica”, per rispondere ad una esigenza di separazione dai procedimenti propri delle “defatiganti” contrattazioni collettive stricto sensu, ha scontato però nella pratica applicazioni diverse.

Ma sgombriamo subito il campo da un alquanto inesistente problema, che è quello dell’incidenza sulla finanza pubblica del complesso delle retribuzioni dei magistrati.[20]

Sul punto, molto efficace, per chiarezza e sintesi, è la ricognizione dei pubblici dipendenti “in forza” in Italia contenuta nel Rapporto semestrale Aran n. 2 del 2020, a pag. 6, la tavola 2 “Distribuzione del personale della PA per gruppo professionale” (Fonte: elaborazioni Aran su dati RGS-IGOP, valori al 31 dicembre 2020):

Gruppi professionali Unità di personale in servizio Variazione 2019/2009
  2009 2012 2019 Unità %
Dirigenti 57.919 36.629 42.804 -15.115 -26,1
Dirigenti medici e sanitari 120.383 130.805 113.481 -6.902 -5,7
Paramedici 346.840 340.583 335.053 -11.787 -3,4
Professori, docenti, educatori 936.710 906.945 1.030.910 94.200 10,1
Ricercatori, tecnologi e professionisti 16.977 11.896 14.186 -2.791 -16,4
Comparti sicurezza 546.899 539.987 520.924 -25.975 -4,7
Carriere speciali (magistratura, carriera diplomatica, prefettizia e dirigenti penitenziari) 12.963 12.546 13.012 49 0,4
Amministrativi e tecnici 1.337.518 1.259.083 1.143.882 -193.636 -14,5
Totale (2) 3.376.209 3.238.474 3.214.252 -161.957 -4,8

Si consideri che la dotazione organica dei magistrati “al completo” prevede, arrotondando per grandi numeri, complessivamente a livello nazionale, quanto a magistrati dipendenti di carriera, un numero pari a circa n. 10.800 magistrati ordinari, n. 640 magistrati contabili, n. 550 magistrati amministrativi, n. 50 magistrati militari, per un totale di poco oltre le circa n. 12.000 unità di personale, che sconta forti carenze, le quali non riescono mai a esser colmate (dato il turn over del personale più anziano), per cui la “forza” effettiva di tutti i magistrati in servizio in Italia oscilla più o meno, a seconda degli anni, intorno allo standard di n. 10.000/11.000 unità.

Specificando meglio il dato – dalla consultazione del portale on line Open BDAP (Banca dati amm. pubbl.)[21] che riporta i dati della RGS del MEF consolidati al 2019[22] – il totale di dipendenti pubblici in regime di diritto pubblico sono n. 577.771 unità, ossia il 17,8%[23] sul totale complessivo di tutti i lavoratori pubblici (privatizzati e non), che contano n. 3.200.000 unità; mentre, i magistrati in servizio in Italia sono n. 10.850, ossia appena lo 0,3% sul totale dei lavoratori pubblici (privatizzati e non).

La “Relazione sul costo del lavoro pubblico” di luglio 2020 (la più aggiornata disponibile) della Corte dei conti, sez. riunite di controllo, stilata, ai sensi dell’art. 60, comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, registra inoltre l’andamento tendenziale della spesa per le retribuzioni dei magistrati, che è stata negli ultimi anni pari al più allo zero.[24] Detta spesa concerne – come visto – solo lo 0,3% dei lavoratori pubblici, tende nella sua globalità a diminuire in ragione del forte turn over (ricambio del personale più anziano e alta retribuzione, con personale più giovane, con molta più bassa retribuzione) e resta alquanto “compressa” rispetto allo standard ideale, tenuto conto che permangono endemiche carenze nelle dotazioni organiche.

In sostanza, quando parliamo di incidenza dei magistrati, nel quadro generale del pubblico impiego, parliamo – come si suol dire – di “poca cosa”, cioè di un’incidenza in termini numerici (e di correlato peso finanziario) modesta se non trascurabile, ossia calcolabile alla stregua di indici numerici percentuali appena stimabili, avvicinandosi al mezzo punto percentuale, sol se il dato è aggregato ad altre categorie similari di impiego pubblico (c.d. carriere speciali).

 

  1. Storia dei precedenti adeguamenti automatici.

Come ne dà atto l’allegato alla nota Istat datata 11 gennaio 2021 prot. n. 336599 indirizzata alla RGS del MEF, l’art. 24, commi 1 e 4, legge n. 448/1998 ha dato luogo a dpcm che hanno recepito calcoli e valori molto diversificati nel tempo. Non è noto per qual motivo ciò sia accaduto, essendosi alternati decreti più o meno “osservanti” della disposizione normativa e altri “elusivi” o quanto meno molto discutibili.

Nel succitato documento Istat recante la “Definizione di un nuovo indicatore per l’adeguamento triennale di stipendi e indennità del personale di magistratura ed equiparati in ottemperanza alle disposizioni di cui all’art. 24 della legge 23 dicembre 1998 n. 448”, viene infatti riassunto in una tabella esplicativa la variazione storica degli incrementi. È il prospetto n. 3 (dpcm per la rivalutazione della retribuzione del personale di magistratura ex art. 24 legge n. 448/1998 e art. 2 legge n. 27/1981):

DPCM Triennio di Riferimento Retribuzione da Decorrenza Variazione % da Acconti % per i
applicazione temporale dell’incremento rivalutare rivalutazione applicare due anni successivi
13 Giugno 2000 2000-2002 1996-1999 Gen. 1997 Gen. 2000 +10,72 +3,216
16 Luglio 2003 2003-2005 1999-2002 Gen. 2000 Gen. 2003 +12,30 +3,690
15 Maggio 2006 2006-2008 2002-2005 Gen. 2003 Gen. 2006 +12,30 +3,690
7 Luglio 2009 2009-2011 2005-2008 Gen. 2006 Gen. 2009 +10,13 +3,040
8 Marzo 2013 2012-2014 2008-2011 Gen. 2009 Gen. 2012 +5,41 +1,620
7 Agosto 2015 2015-2017 2011-2014 Gen. 2012 Gen. 2015 +0,01 0

Ne viene anche fornita la chiave di lettura utile. Secondo l’Istat, la maggior parte dei dpcm emanati, a partire dall’entrata in vigore della nuova normativa, di cui all’art. 24 legge n. 448/1998, ha applicato, per l’adeguamento automatico triennale, la variazione in incremento delle retribuzioni contrattuali pro-capite dei pubblici dipendenti, come previsto dal comma 1 e senza contemplare i c.d. dirigenti non contrattualizzati e il personale delle autorità indipendenti come invece sancito dal comma 4.

Mentre, nel dpcm del 16 luglio 2003 è stata applicata la variazione percentuale incrementale della retribuzione pro-capite lorda dei dipendenti delle istituzioni pubbliche del settore S13 del SEC 2010, desunta dai conti economici consolidati nazionali riferito alle amministrazioni pubbliche,[25] considerabili ai fini statistico-economici e dei saldi di finanza pubblica validi in sede UE, anche in relazione ai vincoli di stabilità economico-finanziaria, cui l’Italia è tenuta.[26]

Il dato riferito al triennio di applicazione 2015-2017 è invece pari allo 0,01 (ossia nullo) e risente – a quel che pare – del “blocco” disposto dall’art. 9, co. 22, d.l. n. 78/2020 convertito, con mod., dalla legge n. 122/2010, le cui disposizioni sono state però dichiarate costituzionalmente illegittime dalla sentenza della Corte cost. 11 ottobre 2012 n. 223.[27] Inoltre, il dato risente indirettamente del “blocco” dei rinnovi contrattuali per le altre categorie di lavoratori pubblici, sancito dall’art. 16, co. 1, lett. b), d.l. n. 98/2011, conv., con mod., dalla legge n. 111/2011 smi, anch’esso però dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza Corte cost. 23 luglio 2015 n. 178.[28]

Tuttavia, non è stato “recuperato” il calcolo dell’adeguamento riferito a detto ambito temporale, rimasto dunque pari ad un sostanziale “zero”.

Al sopra riportato prospetto, vanno ora aggiunti gli ultimi due dpcm che hanno calcolato, secondo il nuovo metodo introdotto dalla nota Istat (n. 336599 dell’11 gennaio 2021), per i trienni successivi di applicazione (ossia 2018-2020 e poi 2021-2023), un adeguamento spettante, rispettivamente, pari ad un modesto 0,62%[29] e poi un più elevato (ma comunque molto inferiore al passato) 4,85%.

DPCM Triennio di Riferimento Retribuzione da Decorrenza Variazione % da Acconti % per i
applicazione temporale dell’incremento rivalutare rivalutazione applicare due anni successivi
25 gennaio 2020 2018-2020 2014-2016 Gen. 2015 Gen. 2018 +0,62 + 0,19
6 agosto 2021 2021-2023 2016-2019 Gen. 2018 Gen. 2021 +4,85 + 1,46

Gli ultimi quattro dpcm (2013-2015-2020-2021) che abbracciano l’arco temporale che va dal 2011 al 2019 (con applicazione 2012-2024), ossia più che decennale, ha visto la retribuzione dei magistrati crescere molto meno rispetto all’arco temporale che invece va dal 1996 al 2008 (con applicazione 2000-2011), in sostanza riferibile al decennio precedente, per un rapporto pari 4 a 1. V’è dunque una evidente sproporzione di valori!

Gli ultimi due dpcm (25 gennaio 2020 e del 6 agosto 2021) sono stati emanati con probabilità sulla base di una parziale acquisizione dei dati utili per quanto concerne la comprensione di tutte le voci retributive accessorie e variabili, ma soprattutto hanno applicato il nuovo (e discutibile per la ratio) algoritmo elaborato dall’Istat, che ha introdotto una forma di media ponderata.[30] Non è stato poi considerato il dato rinveniente dall’evoluzione degli incrementi del personale a regime pubblicistico, che ha registrato negli anni incrementi apprezzabili e talvolta cospicui (ad esempio, nelle autorità indipendenti).

In verità, la retribuzione media pro-capite effettiva dei pubblici dipendenti, in particolare quella dei dirigenti, è composta da svariate “voci retributive”. Oltre alla (tradizionale) parte fissa (rectius: stabile e continuativa), ovverosia allo stipendio e voci correlate, v’è la (innovativa) parte accessoria, quest’ultima, a sua volta, suddivisa tra una componente fissa (se l’incarico è stato conferito) e una componente stricto sensu variabile (ossia l’indennità di posizione variabile e i premi di risultato).

In siffatta direzione si è infatti mossa la contrattazione collettiva del pubblico impiego privatizzato-contrattualizzato, che ha potenziato la componente retributiva accessoria e/o variabile e/o premiale, onde migliorare la “produttività” del personale, a discapito invece della componente fissa, che invece è stata de facto modulata al ribasso. Ciò in consonanza con la dinamica retributiva più tipica delle aziende private.[31]

La retribuzione del personale dirigenziale c.d. privatizzato è composta per ben i tre quarti da emolumenti (non stabili) accessori e/o variabili (retribuzione di posizione-parte fissa, retribuzione di posizione-parte variabile, retribuzione-premi di risultato),[32] rispetto al restante quarto costituito dalla parte fissa (stabile) di tipo “tradizionale”.[33] Ma, anche per il personale non dirigenziale, la retribuzione “non fissa” (o “non stabile” e continuativa) può arrivare ad incidere fino al 30% circa del totale annuo lordo, o ancor più.[34]

Quel che è più grave è che, a seguito dell’art. 37 decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 convertito, con mod., dalla legge 15 luglio 2011 n. 111,[35] una forma di performance dei risultati è stata pure introdotta per la magistratura, ma senza la (normale) previsione di appositi emolumenti accessori e variabili di incentivazione e, ancor più, senza che l’adeguamento automatico ex lege abbia considerato questa quota parte delle retribuzioni di posizione e di risultato attribuite al personale dirigenziale (e non solo) delle amministrazioni pubbliche privatizzate e non.[36]

Ben si comprende come l’art. 24, comma 4, legge 448 sia stato scritto illo tempore in considerazione della direzione verso cui stava andando (ed è effettivamente poi andata) la contrattazione collettiva nel pubblico impiego in gran parte (per oltre l’80%) c.d. privatizzato e quindi abbia opportunamente inserito per i magistrati la necessità di tener conto degli incrementi relativi alle parti accessorie e/o variabili della retribuzione delle altre categorie – a ratione di tutte quelle comparabili – del pubblico impiego, appunto richiamando la nozione di “trattamento economico complessivo”.

Peraltro, la differenza tra il comma 1 e il comma 4 dell’art. 24 legge 448 si spiega meglio considerando che, mentre per i funzionari (dirigenziali e para-dirigenziali) a regime pubblicistico richiamati al comma 1, oltre al detto “adeguamento” automatico, è stato previsto che conseguano gli incrementi contrattati, in base ai specifici (separati) ordinamenti,[37] che li riguardino; al contrario, per la magistratura, non è stata prevista alcuna forma di contrattazione o perlomeno di concertazione (non poi così “deleteria”), neanche secondo un proprio specifico ordinamento. V’è cioè soltanto il c.d. “adeguamento” automatico ex lege.

Resta in sostanza escluso dalla contrattazione formalizzata o da alcuna forma di concertazione, in ultima analisi, solo il personale di magistratura. Anche, per tale ragione, l’art. 24, comma 4, della legge 448 ha inteso ampliare l’adeguamento ricomprendendovi tutte le componenti retributive, oltre quelle c.d. fisse (rectius: stabili e continuative) già contemplate al comma 1, anche quelle accessorie e/o variabili e inoltre far riferimento alle altre categorie del pubblico impiego, da intendersi “comparabili” con la magistratura.

 

  1. La media (aritmetica) e gli altri calcoli ponderali.

L’Istat, con il documento “Definizione di un nuovo indicatore per l’adeguamento triennale di stipendi e indennità del personale di magistratura ed equiparati in ottemperanza alle disposizioni di cui all’art. 24 della legge 23 dicembre 1998 n. 448”, ha adottato, a partire dai due dpcm del 25 gennaio 2020 e del 6 agosto 2021, un nuovo algoritmo per il calcolo dell’adeguamento previsto dall’art. 24, commi 1 e 4, legge n. 448 cit., che utilizza un sistema di media ponderata, non comprendendosene bene né la motivazione, né ancora a quale esigenza concreta faccia riferimento, né infine la ratio del contenuto della ponderazione.

La disposizione normativa parla chiaro e fa riferimento al calcolo della media, la qual cosa invero nel linguaggio matematico gergale,[38] senza ulteriore aggettivazione, equivale a dire che debba procedersi al calcolo appunto della tradizionale media matematica o aritmetica, ove i valori numerici rilevanti dei fattori al numeratore sono sommati e poi divisi, senza attribuirvi alcun peso, per il numero quantitativo di essi posti a denominatore.

Il calcolo è molto semplice e intuitivo ed esprime la media che unitamente alla moda ed alla mediana costituiscono in statistica i c.d. indici di posizione,[39] che consentono di valutare gli ordini di grandezza delle manifestazioni dei dati presi in considerazione.[40]

Tanto detto, i calcoli statistici, al fine di comprendere talune manifestazioni economiche complesse, hanno sviluppato forme diverse di calcolo genericamente definibili come ponderali, in quanto inseriscono nel calcolo della media aritmetica la considerazione di ulteriori valori o elementi di calcolo esprimenti il “peso”, che si vuol attribuire a distinti insiemi di valori, raggruppabili a seconda del campo di indagine che si intende scrutare.

Un simile modo di procedere inserisce nel calcolo oggettivo della media (aritmetica) un rapporto di calcolo soggettivo, cioè tarato in funzione della migliore rappresentazione che si vuol ottenere, dunque separando e pesando i valori o gli elementi di calcolo, in base a relative opzioni d’indagine statistica, per rispondere alle esigenze del calcolo statistico-economico desiderate.

Per cui avremo la possibilità di effettuare una media geometrica, armonica, quadratica, ponderata e così via dicendo.[41] Queste ultime hanno il pregio di rappresentare in senso dinamico “evoluzioni”, ma non di applicare in senso statico (qual è appunto il senso della norma dei cui alla legge n. 448 cit.) la “fotografia” di quanto sia stato già registrato, onde determinare sic et simpliciter per l’appunto un adeguamento da rapportare alla retribuzione dei magistrati.

Infatti, la media ponderata discrimina i termini del calcolo della media, a seconda del peso, ossia della importanza, che viene loro attribuita, assegnandone un diverso denominatore. Certo è che, in assenza di una chiara indicazione normativa, effettuare una media ponderata (o pesata), senza che sia noto il significato e la ratio del “peso” attribuito a ciascun termine o insieme di numeri della distribuzione da osservare è soggettivo e può esser financo arbitrario.

In questa sede, è sufficiente rammentare che l’art. 24 d.lgs. n. 448 cit., come tutti gli altri disposti normativi precedenti disciplinanti la materia, hanno sempre parlato di media senza invero null’altro specificare, per essa intendendosi la semplice media aritmetica, da calcolarsi escludendo quindi ulteriori (e soggettive) sofisticazioni, poggiate su fattori discrezionali e non più semplicemente automatici.

 

  1. La “contrattazione” per la Corte costituzionale e la “realtà”.

In ordine alla retribuzione del magistrato, ai suoi caratteri costitutivi, alla predeterminazione per legge, all’intangibilità e alla necessità del corretto adeguamento periodico, si è più volte pronunciata la Corte costituzionale, fin da tempi risalenti (sentenza 16 gennaio 1978 n. 1). Ciò in quanto la previsione di un meccanismo di “adeguamento automatico” costituisce vieppiù una “guarentigia” dei magistrati (sentenze 8 maggio 1990 n. 238 e 10 febbraio 1993 n. 42).

Da ultimo, Corte cost. sent. 11 ottobre 2012 n. 223,[42] ha sottolineato come sussista “un collegamento fra la disciplina del trattamento economico dei magistrati e il precetto […] dell’indipendenza degli organi giurisdizionali”, nel senso dell’imprescindibilità dell’esistenza di “un meccanismo, sia pure non a contenuto costituzionalmente imposto, che svincoli la progressione stipendiale da una contrattazione e, comunque, in modo da evitare il mero arbitrio di un potere sull’altro” e che, pertanto, non possa disporsi uno strumento sia pure straordinario e temporaneo di c.d. “blocco” della dinamica retributiva per i magistrati più gravoso rispetto alla generalità dei dipendenti del pubblico impiego. Mentre, Corte cost. ord. 8 novembre 2017 n. 233 ha precisato come il sistema di adeguamento automatico triennale degli stipendi dei magistrati sia “volto ad attuare il precetto costituzionale dell’indipendenza della magistratura” e risponda “all’esigenza di rilievo costituzionale di delineare un meccanismo che svincoli la progressione stipendiale da una contrattazione e che, comunque, eviti il mero arbitrio di un potere sull’altro”.

Tuttavia, vi sono due punti da precisare. Il primo concerne il calcolo dell’adeguamento, che può esser non semplicissimo e che può prestarsi a soggettivi apprezzamenti, quando si passi a considerare solo alcuni dati e non tutti quelli richiamati dalla norma di legge, dal ché le associazioni di categoria dei magistrati andrebbero perlomeno “sentite” in merito.

Il secondo è quello per cui non devono mai essere sovrapposti due piani concettuali che sono distinti! Un conto è il “rapporto organico”[43] che investe il funzionario-magistrato nell’attività giurisdizionale e dota lo stesso delle prerogative della giurisdizione; tutt’altro conto è il “rapporto di servizio” (o “di lavoro”),[44] che lega il lavoratore-magistrato all’impiego statuale, in ragione del quale vi sono reciproci diritti (tra cui quello retributivo) e doveri di prestazione lavorativa. Quest’ultimo accomuna il magistrato a qualsiasi altro lavoratore pubblico nel reclamare le tutele tipiche (retribuzione adeguata al livello professionale, protezione pensionistica, salvaguardia della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, tutela da malattia, infortuni e patologie professionali).

Il rapporto organico non va mai commisto con il rapporto di servizio e il lavoro di alta professionalità del magistrato va adeguatamente remunerato semmai a fortiori nella misura in cui contraddistingue anche l’autonomia e l’indipendenza della funzione. Non certo il rapporto organico magistratuale fa obliterare i diritti riconnessi al rapporto di servizio, tra cui il diritto alla (legittima) retribuzione.[45]

Ad ogni modo, il fulcro, per così dire, del pensiero della Corte costituzionale resta condivisibile e sta tutto nel senso che la retribuzione dei magistrati e il suo costante adeguamento debbano esser tali da preservarne l’autonomia e l’indipendenza costituzionalmente previste e che non possano esser consegnate ad una mera contrattazione, ma a fortiori neppure corrispondere al mero arbitrio del legislatore o dell’esecutivo, che finisca per “sovrapporre” un potere o ordine sull’altro.

In concreto, però, va detto che la mancata previsione di un procedimento se non in senso proprio di contrattazione collettiva comunque sia di “confronto” procedimentalizzato, secondo peculiari forme di garanzia, magari al solo fine di condividere i dati estrapolati sull’andamento dei rinnovi dei diversi contratti collettivi e la base di calcolo più idonea, risulta alquanto inappagante.

In primis, poiché non sono affatto “contrattazione collettiva”,[46] paragonabile a quella vera del mondo del lavoro privato, neanche le dinamiche delle diverse forme di negoziazione, che sono previste nel pubblico impiego, sia in quello privatizzato-contrattualizzato, sia vieppiù in quello rimasto a regime pubblicistico.

Ciò in quanto queste ultime c.d. “contrattazioni” sono invero limitate sia da pregnanti “tetti di spesa” sia da “vincoli” stringenti sulla destinazione, sanciti dalla programmazione della finanza pubblica in modo inderogabile, sia infine condizionata dalla necessità di rispettare le “disposizioni ordinamentali”, stabilite in base a legge, onde poter assicurare l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.).

In secundis, perché il c.d. potere negoziale è una nozione non giuridica, bensì socio-economica, che è immanente nella stessa possibilità di evincere una data categoria di lavoratori organizzata, la cui unica decisione sta soltanto nel volerlo esercitare, o nell’astenersi dall’esercitarlo, o nel subire la contrattazione più favorevole conseguita da altre categorie di lavoratori, o ancora nell’esercitarlo in modo indiretto in forme non canonizzate dalla legge, ma “spontanee” e/o “informali”, così com’è in passato accaduto, quando si sono riparametrati nelle diverse tabelle di legge gli stipendi attribuiti alle diverse qualifiche dei magistrati, senza che si indulga in ipocrisie.

D’altro canto, oramai ha conseguito legittimazione sindacale finanche il personale militare (Corte cost. 7 giugno 2018 n. 120), che, unitamente alle forze di polizia, ai prefetti, ai diplomatici (funzionari che presiedono ai compiti di conservazione dello Stato) – come già visto – esplicano da tempo speciali forme di “contrattazione” o rectius di “confronto costruttivo”, sui profili di aggiornamento delle retribuzioni, senza che ciò sia affatto considerato “sovversivo”, in quanto il procedimento dialogico, più ché di pura negoziazione, è predeterminato dalla legge speciale di ogni singolo ordinamento e confluisce comunque in un atto di recepimento formale costituito dal decreto del Presidente della Repubblica.

Solo in tal modo si può corrispondere, pure secondo una certa logica di trasparenza, all’avvertita esigenza di rilievo costituzionale di evitare stantie “contrattazioni” (inappropriate per i magistrati), ma soprattutto di impedire “il mero arbitrio di un potere sull’altro” (fatto certo ancor più intollerabile), senz’altro da scongiurarsi!

La più sopra rammentata dinamica della parametrazione stipendiale ferma a n. 41 anni or sono (ossia alla legge n. 425 del 1981), unita alla “strisciante” sottostima del c.d. adeguamento automatico, testimonia l’insufficienza dell’approccio unilaterale, apparentemente automatico, ma in concreto suscettibile di modulazione di dati incompleti, errati o parziali, in quanto non corroborato da un “confronto” disciplinato dalla legge o dalla prassi (in applicazione dei canoni di collaborazione e di buona fede previsti dall’art. 1, comma 2-bis, legge n. 241 del 1990) nell’applicazione di tale diritto alla retribuzione.

Per invero, nelle note istruttorie dell’Istat scambiate con la RGS del MEF, citate nel preambolo dei dpcm di adeguamento, emerge come sia talvolta complesso ricostruire la stessa base dei dati da considerarsi, al fine del calcolo della media, e come l’omesso apprezzamento di taluni dati,[47] magari proprio di quelli più corposi relativi alle retribuzioni accessorie e variabili, che sono destinate a remunerare in modo pregnante le prestazioni dei lavoratori con elevato statuto professionale, finisca per restituire una quadro quanto meno “infedele” (se non “falsato”), relativo agli incrementi reddituali, che si sono realizzati nel tempo per le altre categorie dei lavoratori pubblici.

Una proposta potrebbe essere quella di mutuare la disciplina, con opportuni adattamenti e limitatamente agli aspetti retributivi, prevista per il personale prefettizio o per quello diplomatico, ovvero perlomeno prevedere la consultazione, con motivate controdeduzioni, delle associazioni di categoria dei magistrati.

Manca comunque una norma che consenta di recepire per i magistrati i profili di maggior tutela previsti in particolare per le donne (e non solo) dalla contrattazione collettiva, anche di stampo pubblicistico (recepita con d.P.R.), che ampliano le disposizioni “minime” di cui al d.lgs. 26 marzo 2001 n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), il cui art. 1, comma 2, fa appunto salve: “le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione”.[48]

 

  1. Punti problematici e conclusioni.

Come visto la posizione del magistrato sul versante retributivo costituisce un unicum.

La struttura e lo stesso importo della retribuzione sono previste da una fonte alquanto rigida, qual è la legge e non in base a legge (ex art. 97 Cost.), ossia a una fonte normativa secondaria più flessibile, come pur sarebbe sufficiente. Parimenti determinata dalla legge è il meccanismo (indiretto) di “adeguamento”, parametrato sulle (apparenti) indistinte “altre categorie” del pubblico impiego.

La dinamica dei “rinnovi” della contrattazione sia nel pubblico impiego a regime pubblicistico (art. 3 d.lgs. n. 165 del 2001), sia nel lavoro pubblico a regime privatizzato-contrattualizzato (art. 2, comma 2, d.lgs. n. 165 del 2001) ha finito per segnare nel tempo un forte divario rispetto alla statica dei meri “adeguamenti” (art. 24 legge n. 448 del 1998).

Dal Rapporto Aran n. 1 del 2021, si evince, per il periodo ottobre 2020-settembre 2021, che: “la dirigenza non contrattualizzata (Professori e ricercatori universitari, Magistrati e personale con qualifica dirigenziale delle Forze armate e dell’ordine) restituisce aumenti tendenziali fra il +1,2% e +1,4%” (pag. 15). Mentre, “Il complesso della dirigenza restituisce, invece un +9% che si compone nella crescita del +11% per la dirigenza contrattualizzata Aran, e del +4,9% per i dirigenti in regime di diritto pubblico” (pag. 19).

Tutto questo fa presagire come la retribuzione del magistrato possa (come già in parte è accaduto), nel volgere dei prossimi anni, ancor più diminuire in termini reali, gravando soprattutto sulle più giovani leve, scendendo quindi molto al di sotto del livello “adeguato” al lavoro professionale, comparabile con quello magistratuale, che si rinviene nelle categorie dirigenziali amministrative e professionali o nelle carriere equiparate para-dirigenziali prefettizie, delle autorità indipendenti, della diplomazia e degli alti ufficiali (dirigenziali) di polizia e militari.

La più elevata remunerazione (sia iniziale sia a medio livello[49]) prevista per alternative attività professionali “storna” i migliori laureati dall’ambizione nella carriera (assorbente come tipologia di impegno di lavoro) in magistratura, che sovente, specie per la magistratura ordinaria, si svolge in luoghi di lavoro nient’affatto ameni, con insufficiente dotazione di mezzi e soprattutto con carichi di lavoro eccessivi e progredisce de facto quasi sempre per mera anzianità (o per fattori imponderabili a priori), lasciando comunque molto a desiderare quanto a retribuzione nei livelli iniziali.[50]

Peraltro, il magistrato “a proprie spese” trascorre parte significativa del tempo di lavoro a scriver sentenze e altri provvedimenti giurisdizionali e acquista “di tasca propria” libri cartacei e codici di leggi utili al personale aggiornamento professionale. Talché la c.d. indennità giudiziaria, di eguale importo per tutti i magistrati, istituita dall’art. 3 della legge n. 27 del 1981, proprio “in relazione agli oneri che gli stessi incontrano nello svolgimento della loro attività”, risulta or dunque inadeguata (soprattutto se si considera che non è percepita alcuna distinta c.d. indennità di amministrazione) e, nella misura in cui remunera la particolarità della funzione, andrebbe rivalutata.

A questo punto possiamo trarre le nostre conclusioni, con maggiore cognizione di causa.

L’art. 24 (Revisione dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato) della legge 448 richiede, per la sua legittima (e “fedele”) applicazione, che si comprendano con esattezza i termini dei riferimenti contenuti nella disposizione normativa.

I commi 1 e 1-bis dell’art. 24 cit. hanno riguardo alle c.d. carriere speciali dirigenziali o professionali para-dirigenziali (docenti universitari, dirigenti delle forze di polizia, ufficiali dirigenti delle forze armate, personale equi-ordinato alla dirigenza della carriera prefettizia e della carriera diplomatica), eccettuata la magistratura considerata a parte al successivo comma 4.

Il comma 4 dell’art. 24 cit. considera la magistratura (e gli avvocati e procuratori dello Stato), disponendo che il criterio previsto dal comma 1 (valido per le predette carriere speciali dirigenziali e para-dirigenziali) si applichi anche ai magistrati, fermo restando però la peculiare cadenza triennale (con anticipazione e conguaglio) già prevista dall’art. 2 della legge n. 27 del 1981.

Ma il comma 4 dell’art. 24 cit. continua, introducendo una aggiuntiva base di calcolo, nel momento in cui statuisce che debba altresì tenersi conto “degli incrementi medi pro capite del trattamento economico complessivo” da intendersi “comprensivo di quello accessorio e variabile”, invero tipico della dirigenza c.d. privatizzata-contrattualizzata e delle carriere direttive e dirigenziali presso le autorità indipendenti a regine pubblicistico (Banca d’Italia, Consob e Antitrust), quali “altre categorie del pubblico impiego”; locuzione quest’ultima dunque più ampia che ricomprende sia il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni c.d. privatizzato-contrattualizzato, che il più tradizionale pubblico impego pubblicistico.

Più specificamente, poiché le categorie considerate dal comma 1 sono dirigenziali e para-dirigenziali, le altre categorie contemplate dal comma 4 non possono che essere le altre categorie comparabili, poiché in statistica, il raffronto va fatto sulla base di categorie omogenee e non mettendo insieme “a caso” categorie concettuali, socio-economiche e normative diverse. Non avrebbe alcun senso logico-giuridico!

La media richiamata è la media aritmetica, semmai corretta da una media ponderata, non sulla base dei numeri dei dipendenti per categoria, come fatto dall’Istat, bensì pesando l’omogeneità delle altre categorie alla magistratura, in modo tale da valorizzare quelle che hanno natura dirigenziale, ciò nella sola ipotesi in cui si ritenga che la locuzione “altre categorie” sia omnicomprensiva di tutte le altre qualifiche del restante pubblico impiego e quindi ricomprenda quelle di operatore (ad esempio: usciere), impiegato o semplice funzionario. Ogni altra pesatura o ponderazione del dato statistico risulta discrezionale, se non arbitraria. Scegliendo infatti discrezionalmente le basi di dati da considerare e il fattore di ponderazione, come fatto nel nuovo algoritmo statistico adoperato, per il calcolo degli ultimi due dpcm di adeguamento, il criterio di adeguamento non è più allora predeterminato dalla legge in modo automatico e di “di diritto”.

In conclusione, va recuperato lo spirito delle disposizioni previste dall’art. 24 legge n. 448 del 1998 smi in questione, interpretate nella chiave evolutiva propria dello sviluppo che sia la normativa ivi richiamata sia la contrattazione collettiva (comparabile) hanno avuto, senza indulgere in atteggiamenti “ribassisti”, nient’affatto utili, in considerazione sia dell’esiguità numerica del personale di magistratura, pari solo allo 0,3% del totale dei pubblici dipendenti assunti in Italia (invero in ulteriore ribasso, atteso che si prospetta l’incremento dei dipendenti pubblici verso i quasi 4.000.000, come preannunciato[51]), sia del perdurante da tempo ricambio generazionale con discreto ingresso di nuovi magistrati, con retribuzione iniziale più bassa, a fronte del pensionamento di numerosi magistrati a fine carriera, con alta retribuzione.

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*Magistrato Tar e dottore di ricerca in diritto pubblico dell’economia.

[1] Su ruolo del magistrato, per tutti, vedi: G. Landi (voce), Magistrato (diritto vigente), in Enc. dir., vol. XXV, Milano, Giuffrè, 1975, p. 199 ss; U. Goldoni (voce), Magistrati e magistratura, in Enc. giur., vol. XXI, Roma, Treccani, 1990. Va inoltre considerato che ai magistrati per molti profili sono equiparati gli avvocati e i procuratori dello Stato, i quali, ai sensi del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611, svolgono sia l’attività di rappresentanza e di difesa in giudizio sia una peculiare attività di consulenza legale. Talché la legge 2 aprile 1979 n. 97 ribadisce la considerazione unitaria dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari e degli avvocati e procuratori dello Stato. In sintesi, cfr. P.G. Ferri, (voce) Avvocatura dello Stato. I) Ordinamento, in Enc. giur., vol. IV, Roma, Treccani, 1988.

[2] Secondo l’art. 1 del regio d.lgs. 31 maggio 1946 n. 511 recante le “Guarentigie della magistratura”: “I magistrati non possono essere privati delle funzioni e dello stipendio, collocati in aspettativa, in disponibilità o a riposo, oppure essere destinati ad altra sede o ad altre funzioni, se non nei casi e nelle forme previsti dal presente decreto”.

[3] Il trattamento retributivo è stato stabilito dapprima dalla legge 24 maggio 1951 n. 392, la cui tabella è stata sostituita da quella allegata alla legge 2 aprile 1979 n. 97, poi sostituita da quella allegata alla legge 19 febbraio 1981 n. 27, indi aggiornata dalla tabella A allegata alla legge 30 luglio 2007 n. 111, ma i valori della tabella della legge n. 111 del 2007 sono solo quelli “fotografati” nella loro evoluzione derivante dall’applicazione degli adeguamenti automatici ex lege triennali, e pertanto risalgono a quelli fissati con la legge n. 27 del 1981. Ergo, i valori retributivi della magistratura, nella sua declinazione fondamentale, risalgono a ben oltre 41 anni or sono. Sul punto cfr. lo studio molto preciso effettuato da L. Varrone, Il trattamento economico e il regime pensionistico dei magistrati, in A. Iacobini, G. Grasso – M. Converso (a cura di), Codice dell’ordinamento giudiziario, Piacenza, La Tribuna-Il Foro it., 2020, p. 1219 ss, e, in part., p. 1221, il quale ben rammenta: “I compensi indicati nella […] tabella, ai sensi dell’art. 51 del d.lgs. n. 160 del 2002 sono quelli derivanti dalla applicazione degli adeguamenti economici triennali fino alla data del 1° gennaio 2006”.

[4] Inoltre, è rimasta computata a parte l’indennità integrativa speciale (nata per compensare l’incremento del c.d. “costo della vita”, comune a tutti i dipendenti pubblici), istituita dalla legge 27 maggio 1959 n. 324 e modificata dal decreto-legge 29 gennaio 1983 n. 17 conv. dalla legge 25 marzo 1983 n. 79. Solo per il personale pubblico privatizzato-contrattualizzato, la i.i.s. è stata conglobata nello stipendio dal 1° gennaio 2003, in base all’art. 20, comma 3, del CCNL comparto ministeri del 12 giugno 2003 (quadriennio normativo 2002-2005), cui sono conseguiti similari contratti collettivi degli altri comparti e aree di contrattazione.

[5] In un certo qual modo, si potrebbe dire che l’indennità giudiziaria abbia finito per surrogare de facto al ruolo della più comune c.d. indennità di amministrazione prevista per la generalità dei pubblici dipendenti, ma non per i magistrati, probabilmente generando un’anomalia di sistema, che fa perdere all’indennità istituita dall’art. 3 della legge n. 27 cit. parte del suo originario significato. Non è corrisposta alcuna indennità di amministrazione, come invece riconosciuto a tutto il personale dipendente dal Ministero della Giustizia (come lo sono anche i magistrati ordinari) o dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (tra cui rientrerebbero parimenti i magistrati speciali amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato); ciò in quanto l’art. 1, comma 2, del d.P.C.M. 30 dicembre 1993 n. 593 recante il “Regolamento concernente la determinazione e la composizione dei comparti di contrattazione collettiva di cui all’art. 45, comma 3, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29” ha previsto per i dipendenti a regime pubblicistico (tra cui i magistrati) la riserva di applicazione dei rispettivi ordinamenti e quindi la non applicabilità dei contratti collettivi, che hanno istituito la c.d. indennità di amministrazione, avvenuta ad opera dell’art. 34, comma 2°, lett. a), allegato B, C.C.N.L. comparto Ministeri del 16 maggio 1995 (quadriennio normativo 1994-1997) e dell’art. 33 del C.C.N.L. del 16 febbraio 1999 (quadriennio normativo 1998-2001).

[6] Il lessico che distingue il “trattamento economico”, che compete al pubblico impiegato in attività di servizio, dal diverso “trattamento di quiescenza”, che indica le competenze economiche liquidate dopo la cessazione dal servizio attivo appartiene alla tradizione delle norme di legge risalenti in materia, da ricollegarsi alle norme di contabilità pubblica. Sul punto cfr. E. Morone, (voce) Retribuzione dei dipendenti pubblici, in Nuovo Dig. it., vol. XV, Torino, Utet, 1968, p. 763 ss e, in part., p. 764. Attualmente, si distingue la “retribuzione” che viene corrisposta come diritto al lavoratore assunto in servizio in ragione del lavoro svolto, dalla “pensione” che viene invece attribuita al lavoratore posto “a riposo” per raggiunti limiti d’età anagrafica o di anzianità contributiva nel caso di pensione anticipata.

[7] Cfr. A Mantero (voce), Retribuzione. II) Impiego pubblico, in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, Treccani, 1991, il quale precisa: “Con l’espressione retribuzione del pubblico dipendente si indica il corrispettivo della prestazione lavorativa erogato al dipendente sia sotto forma di “stipendio” corrisposto, di regola, in rate mensili posticipate, sia mediante altri assegni destinati a compensare particolari prestazioni o condizioni del dipendente, personali o familiari”.

[8] Nota infatti U. Goldoni, (voce) Magistrati e magistratura, cit., in part. p. 2 come l’inserimento di “una disposizione che impegnasse i giudici ad applicare ed interpretare la legge secondo coscienza […] fu ritenuta pleonastica e generica, di ovvio significato”, per tale motivo, come emerge dai lavori preparatori costituenti, una simile opzione fu scartata.

[9] A proposito della magistratura, in considerazione della sottoposizione di ciascun magistrato solo alla legge (e alla sua interna scienza e coscienza), può parlarsi correttamente solo di attribuzione di “incarichi” direttivi o semi-direttivi “di coordinamento”, che si aggiungono, ma che non comportano lo svolgimento di alcun ruolo o attività dirigenziale, ciò che invece presuppone la costituzione di una gerarchia interna o comunque di una sovrapposizione potenziale di attività. Per cui, è impreciso lessicalmente e improprio concettualmente parlare in ogni caso di “dirigenza” nei rapporti tra i magistrati, senza che possa distinguersi tra attività propriamente giudiziaria e attività amministrative relative al rapporto di lavoro, in quanto i due ambiti comunque si intersecano e condizionano tra loro. Sulla funzione presidenziale nei collegi, cfr. L. Galateria – M. Stipo, Manuale di diritto amministrativo. Principi generali, Torino, Utet, III ed. 1998, p. 204 ss, in part. gli autori, in parole chiare, dopo aver rilevato come: “la collegialità trova amplissima applicazione nei più svariati rami del diritto: costituzionale, processuale, amministrativo […]”, sottolinea che essa ha lo scopo per l’appunto di rendere: “più ponderato l’agire dell’organo […] (pag. 204-205), indi evidenziano che: “Ogni organo collegiale ha un Presidente al fine di guidare e coordinare i lavori […]”, ma: “Tra i membri del collegio in quanto tali e il Presidente non corre alcun rapporto di gerarchia. Egli, come è noto, è il primus inter pares, si trova cioè in una posizione di primazia”, ciò dunque: “[…] vale ad assicurare il miglior funzionamento degli organi collegiali in quanto ciascun membro può esprimere liberamente la sua opinione senza timore riverenziale […]” (pag. 208).

[10] Difatti l’art. 2, comma 11, legge n. 111 cit. dispone che la tabella relativa alla magistratura ordinaria allegata alla legge 19 febbraio 1981 n. 27, è sostituita dalla tabella A allegata alla presente legge, i cui valori sono quelli “fotografati” nella loro evoluzione derivante dall’applicazione degli adeguamenti automatici ex lege triennali e pertanto risalgono a quelli fissati con la legge n. 27 del 1981, oramai 41 anni or sono.

[11] Infatti, la regola della predeterminazione per legge della retribuzione è un connotato comune a tutto l’impiego secondo la dottrina tradizionale che ricollegava la riserva di legge all’applicazione dell’art. 97 Cost. sull’organizzazione degli uffici pubblici in base a legge, in tal senso espressamente cfr. E. Morone, (voce) Retribuzione dei dipendenti pubblici, cit. e, in part., p. 764: “Il trattamento economico degli impiegati dello Stato è regolato dalla legge e può essere modificato solo in forza di legge: e questa una diretta conseguenza della norma direttiva contenuta nell’art. 97 della Costituzione […]. In concreto la sua misura è stabilita in relazione al grado o qualifica ricoperta dal dipendente e […] dall’anzianità acquisita”.

[12] La raccomandazione n. 12 del 2010 sostituisce la previgente raccomandazione n. 12 del 1994. Sempre il 17 novembre 2010 il Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE) presso il Consiglio d’Europa ha adottato la c.d. “Magna Carta dei giudici (principi fondamentali)” ovverosia un testo di sintesi delle principali conclusioni dei pareri già adottati dal CCJE.

[13] Va rammentato che il Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo è un’organizzazione internazionale, istituita con il Trattato di Londra del 5 maggio 1949 (il Trattato è noto come “Statuto del Consiglio d’Europa”), che ha per scopo quello di attuare un’unione più stretta fra i membri per tutelare e promuovere “gli ideali e i principi che ne sono comune patrimonio” e per favorire “il loro progresso economico e sociale” (art. 1 Statuto). Ogni membro riconosce il principio della preminenza dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (art. 3 Statuto). Gli Stati membri del Consiglio d’Europa possono concludere accordi internazionali (convenzioni). Tra questi, la più importante, firmata a Roma nel 1950, è la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (C.E.D.U.). Mentre, il Comitato dei ministri, organo del Consiglio d’Europa (art. 10 Statuto) competente ad agire in nome dello stesso (art. 13 Statuto), adotta le altre misure ritenute più idonee ad attuarne lo scopo, assumendo conclusioni, che sono comunicate agli Stati membri che, se del caso, assumono la forma di raccomandazioni ai Governi (art. 15 Statuto), quali “atti non vincolanti”, che però ricoprono un ruolo “di guida” agli Stati membri per la migliore applicazione dei diritti C.E.D.U. ed attuare le finalità del Trattato che sono quelle di tutelare e di promuovere tra gli Stati membri gli ideali e i principi costituenti il “comune patrimonio”. In tema, essenzialmente, cfr. L. Daniele, Diritto dell’Unione europea, Milano, Giuffrè, VI ed., 2018, p. 5, il quale rammenta che: “Il Consiglio d’Europa, il cui Statuto è stato approvato a Londra il 5 maggio 1949 […]” consiste in: “un’organizzazione con compiti ed obiettivi assi ampi: salvaguardare ed attuare gli ideali e i principi che sostituiscono il patrimonio comune […]. L’organo principale è costituito dal Comitato dei ministri, nel quale siedono i Ministri degli esteri degli Stati membri o i loro rappresentanti permanenti”.

[14] Il d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165 in origine aveva previsto una contrattazione collettiva con la durata di quattro anni per la parte normativa e con cadenza biennale per il rinnovo della parte economica. Tuttavia, il ripetuto ritardo nella rinnovazione dei contratti hanno determinato il passaggio ad una contrattazione collettiva impostata su base triennale sia per la parte normativa che per la parte economica, le quali, ai sensi del novellato art. 40, comma 3, d.lgs. 165 cit., devono coincidere.

[15] Cfr. Corte cost. 16 ottobre 1997 n. 309, in Giorn. dir. amm., Milano, Iposa, n. 1, 1998, p. 29 ss. Sulla contrattazione collettiva “immaginata” dalla Costituzione, che avrebbe dovuto sostituire il regime corporativo richiamato pure dal codice civile, cfr. A. d’Aloia, Art. 39 Cost., in R. Bifulco – A. Celotto – M. Olivetti (a cura di), Commentario alla Costituzione, vol. I, Torino, Utet, 2006, p. 796 ss.

[16] Ricorda il fenomeno dell’appiattimento al ribasso della retribuzione nella sua dimensione qualitativa R. Scognamiglio (voce), Lavoro I) Diritto costituzionale, in Enc. giur., vol. XVIII, Roma, Treccani, 1990, in part. p. 12, laddove nell’esaminare il requisito della “qualità del lavoro” pur presidiato dall’art. 36 Cost., evidenzia come, specie in passato, sebbene: “le retribuzioni devono differenziarsi anche in relazione alla qualità del lavoro […] entro tale limite possono verificarsi, e vengono in conflitto con vario esito, le tendenze di segno opposto all’appiattimento delle retribuzioni verso il basso, secondo la tendenza più congeniale alla vocazione collettivistica dell’azione sindacale”.

[17] Sul punto, cfr. A. Martinelli, (voce) Dirigenti, in Enc. scienze sociali, vol. III, Roma, Treccani, 1993, p. 1 ss, il quale osserva: “La parola dirigente definisce, in senso lato, qualsiasi ruolo di comando e di leadership nelle varie sfere dell’attività umana […].  In un’accezione più specifica […] i dirigenti costituiscono un ceto tipico delle società industriali avanzate formato da professionisti stipendiati […] che esercitano il potere decisionale loro delegato […]. In quanto professionisti, i dirigenti apprendono competenze e capacità specialistiche […] in apposite scuole e nel corso di una lunga esperienza aziendale, godono di rilevante autonomia nel proprio lavoro e di ampia discrezionalità decisionale e sono portatori di una specifica cultura e deontologia professionale. In quanto detengono i poteri delegati di grande importanza nella nostra società […] e in quanto svolgono un ruolo strategico all’interno delle organizzazioni produttive, i dirigenti occupano una posizione elevata nella stratificazione sociale e godono di privilegi connessi a questa posizione di élite”. Continua, inoltre, l’autore, p. 6, come vada considerato il dirigente possedere intrinsecamente tre distinte ma unificate in un sol soggetto dimensioni: “imprenditore […] nel senso che prende le decisioni strategiche […] in quanto è innovatore […] professionista, in quanto vende le proprie competenze specialistiche […] gode di un’autonomia assai ampia nel proprio lavoro […] funzionario […] in quanto è spesso subordinato ad altri dirigenti di grado superiore e deve prendere decisioni nell’ambito dei vincoli […] posti”.

[18] Ai fini di contabilità pubblica e di classificazione statistico-economica, in base alle elaborazioni della RGS-IGOP del Ministero dell’economia e delle finanze, dell’Istat e dell’Aran, magistratura, carriera diplomatica, prefettizia, dirigenti militari e di polizia e penitenziari costituiscono l’unitario insieme delle c.d. “carriere speciali”, accomunate sia per il regime pubblicistico, sia per la natura dirigenziale o para-dirigenziale delle intrinseche attività professionali svolte, con autonomia lavorativa.

[19] Per “categoria” deve intendersi quell’insieme di lavoratori accomunati secondo l’importanza dei compiti svolti, in tal senso l’art. 2095 cod. civ. prevede quattro categorie: dirigenti, quadri, impiegati ed operai. All’interno di ogni categoria possono distinguersi diverse “qualifiche”, come fa l’art. 96 disp. att. cod. civ., le quali, nell’ambito di ciascuna delle categorie indicate nell’art. 2095 cod. civ., raggruppano i lavoratori per gradi. Nella materia, cfr. F. Liso, (voce) Categorie e qualifiche del lavoratore, in Enc. giur., vol. VI, Treccani, Roma, 1988, in part. p. 12-13 laddove osserva come la figura giurisprudenziale del “dirigente” è quella del lavoratore che può essere: “investito di attribuzioni che […] consentano […] di imprimere un indirizzo e un orientamento a tutta l’attività […] o a […] rami o settori in cui si articola […]” un’impresa o ente e inoltre ricomprende anche quei: “lavoratori che svolgono compiti caratterizzati esclusivamente da un elevato contenuto tecnico-professionale di importanza” ai fini dello svolgimento dell’attività e per il perseguimento degli obiettivi di un’impresa o di un ente.

[20] In base all’art. 60 (Controllo del costo del lavoro), co. 4, d.lgs. n. 165/2001: “La Corte dei conti riferisce annualmente al Parlamento sulla gestione delle risorse finanziarie destinate al personale del settore pubblico, avvalendosi di tutti i dati e delle informazioni disponibili presso le amministrazioni pubbliche. Con apposite relazioni in corso d’anno, anche a richiesta del Parlamento, la Corte riferisce altresì in ordine a specifiche materie, settori ed interventi”. La “Relazione sul costo del lavoro pubblico” di luglio 2020 (il più aggiornato disponibile) della Corte dei conti, sez. riunite di controllo, stilato ai sensi dell’art. 60, comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, il quale riporta nella tavola n. 3 degli allegati l’elaborazione sui dati forniti da RGS-IGOP (ossia Ragioneria generale dello Stato – Ispettorato generale per gli ordinamenti del personale e l’analisi dei costi del lavoro pubblico), secondo il quale le variazioni percentuali della retribuzione media 2016-2018 del personale della magistratura passa dal -0,7 a 0.

[21] Raggiungibile al sito internet: https://openbdap.mef.gov.it

[22] In statistica, i dati ufficiali “consolidati”, in genere, risalgono al triennio precedente.

[23] Considerando l’insieme dei dipendenti a regime di diritto pubblico, significativamente, all’anno 2019, in Italia si contavano le seguenti unità: Forze di polizia: 306.558 (53,1%); Forze armate: 178.572 (39,9%); Professori e ric. universitari: 44.082 (7,6%); Magistrati: 10.850 (1,9%); Carriera prefettizia: 1.144 (0,2%); seguono gli altri.

[24] Così la già citata “Relazione sul costo del lavoro pubblico” di luglio 2020 (il più aggiornato disponibile) della Corte dei conti, sez. riunite di controllo, stilato ai sensi dell’art. 60, comma 4, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, reperibile in Internet e nel sito della Corte dei conti.

[25] Da ultimo, l’elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato ai sensi dell’art. 1, co. 3, della legge n. 196/2009 (Legge di contabilità e di finanza pubblica) è pubblicato in G.U. 30 settembre 2020 n. 242.

[26] Nel dpcm del 2006 si è invece fatto riferimento alla clausola prevista all’articolo 24, co. 2, legge 448/1998 che permette di applicare la variazione stimata nel periodo precedente.

[27] La Corte costituzionale sentenza 11 ottobre 2012 n. 223 ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui: 1) dispone che per il personale di cui alla L. 19 febbraio 1981, n. 27 non sono erogati, senza possibilità di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012 e che per tale personale, per il triennio 2013-2015 l’acconto spettante per l’anno 2014 è pari alla misura già prevista per l’anno 2010 e il conguaglio per l’anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014; 2) non esclude che a detto personale sia applicato il primo periodo del comma 21; 3) dispone che l’indennità di cui all’art. 3 della legge 19 febbraio 1981 n. 27 (c.d. indennità giudiziaria), spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, sia ridotta del 15% per l’anno 2011, del 25% per l’anno 2012 e del 32% per l’anno 2013.

[28] Corte cost. 23 luglio 2015 n. 178: “È costituzionalmente illegittimo, a decorrere dal giorno successivo alla pubblicazione nella Gazz. Uff. della Repubblica, il regime di sospensione della contrattazione collettiva per il periodo 2010-2014 […]. Le norme censurate e le norme sopravvenute della legge di stabilità per il 2015, susseguitesi senza soluzione di continuità e accomunate da analoga direzione finalistica, violano la libertà sindacale garantita dall’art. 39, comma 1, Cost., in quanto l’estensione fino al 2015 delle misure che inibiscono la contrattazione economica e che, già per il 2013-2014, erano state definite eccezionali, svela un assetto durevole di proroghe e una vocazione che mira a rendere strutturale il regime del “blocco” […] sconfina, dunque, in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale […] ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziaria […]. Rimossi, per il futuro, i limiti che si frappongono allo svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica, sarà compito del legislatore dare nuovo impulso all’ordinaria dialettica contrattuale, scegliendo i modi e le forme che meglio ne rispecchino la natura, disgiunta da ogni vincolo di risultato”.

[29] Probabilmente il dpcm 25 gennaio 2020 dello 0,62% doveva anche farsi carico di “recuperare” il nullo dpcm 7 agosto 2015 ossia quello del 0,01%. La questione è stata lasciata “in eredità” al seguente dpcm 6 agosto 2021, che però ha decretato l’aumento del 4,85%, ancora una volta senza “recuperare” pregressi omessi adeguamenti ex lege automatici.

[30] In base al quel che si è potuto apprendere, l’Istat ha ritenuto di dover utilizzare un criterio della media ponderata sul numero di dipendenti nella categoria di CCNL presa in considerazione.

[31] Più recentemente, la “retribuzione”, quale controprestazione per il lavoro erogato, sia nel lavoro privato, sia nel lavoro pubblico, ha conosciuto una certa evoluzione di forme, tra le quali v’è la retribuzione di risultato e quella per obiettivi. Per un quadro generale in materia, per tutti, cfr. R. Pessi (voce), Retribuzione. II) Nuove forme, in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, Treccani, 1997.

[32] Cfr. ad exemplum CCNL Area I dirigenza dei ministeri quadriennio normativo 2006-2009 e CCNL Area VI dirigenza degli enti pubblici non economici e agenzie fiscali, quadriennio normativo 2006-2009. Tutti i testi sono consultabili in www.aranagenzia.it. Le “tornate” contrattuali collettive successive, in applicazione dell’art. 54 d.lgs. 27 ottobre 2009 n. 150, hanno ridotto sia i comparti sia le aree a quattro, e hanno cercato di semplificare la parte accessoria e variabile delle retribuzioni dirigenziali. Difatti, il CCNL Area “Funzioni centrali” (che ha accorpato il contratto collettivo ministeri e quello degli enti pubblici non economici e agenzie fiscali), triennio 2016-2018 (sottoscritto il 9 marzo 2020), ha unificato la retribuzione di posizione fissa e di posizione variabile in un unico emolumento (“retribuzione di posizione”).

[33] Il quantum di incidenza è facilmente evincibile, visionando semplicemente i quadri delle retribuzioni rese note nei vari siti internet delle amministrazioni pubbliche, le quali, in ottemperanza all’art. 14 d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, pubblicano i dati retributivi percepiti dai dirigenti. Ad esempio, per i dirigenti di livello iniziale cioè di II fascia (non generali) dell’INAIL, nell’anno 2019, prendendo a riferimento un qualsiasi nominativo tra quelli pubblicati, risulta (“arrotondando” le cifre indicate) uno stipendio tabellare, una retribuzione di posizione parte-fissa, una retribuzione di posizione parte-variabile e una retribuzione di risultato, rispettivamente, pari a circa € 44.000,00; circa €. 12.000,00; circa €. 33.500,00; circa 24.500,00, per un totale pari, un po’ per tutti, a complessivi circa €. 114.000,00 lordi annui. I dirigenti dell’INPS totalizzano una retribuzione lorda annua ancora molto superiore. Valori simili si raggiungono invero in moltissime amministrazioni. Quanto ai dirigenti di I fascia (dirigenti generali) l’importo complessivo viene aumentato del 90-100%, ossia praticamente raddoppiato, corrispondendosi uno stipendio netto parametrati ai dodici mesi dell’anno pari a circa €. 9.000-10.000 nette al mese. Va poi considerato che gli avvocati degli enti pubblici non economici INPS e INAIL conseguono, in considerazione dell’inquadramento para-dirigenziale del relativo CCNL di area e in virtù dell’art. 9 legge n. 114/2014 (conv. del d.l. 24 giugno 2014) un trattamento economico complessivo tendenzialmente superiore a quello degli Avvocati e procuratori dello Stato (equiparati ai magistrati), in ragione dell’autonomia regolamentare lasciata agli enti e di quanto previsto al comma 6 secondo cui, ad esclusione degli avvocati e procuratori dello Stato, la statuizione della compensazione delle spese determina la corresponsione di “compensi professionali”.

[34] L’art. 44 CCNL comparto “Funzioni centrali” del triennio 2019-2021 (firmato in data 5 gennaio 2022), per il personale non dirigenziale ora articolato in tre aree (operatori, assistenti e funzionari), prevede la seguente struttura della retribuzione: a) stipendio, che si compone di: – stipendio tabellare corrispondente all’area di inquadramento; – differenziale stipendiale, secondo la nuova disciplina di cui agli artt. 14 (Progressione economica all’interno dell’area) e 52 (Trattamento economico nell’ambito del nuovo sistema di classificazione professionale) a cui si applicano i medesimi effetti previsti all’art. 48 (Effetti dei nuovi stipendi); b) r.i.a. (emolumento transitorio, ove spettante); c) compensi per lavoro straordinario; d) trattamenti economici correlati alla performance organizzativa e individuale; e) altri compensi e indennità previsti in base al CCNL; f) altri compensi e indennità spettanti in base a specifiche disposizioni di legge. Per l’aggiuntiva quarta area (elevate professionalità) invece l’art. 45 del medesimo CCNL prevede le voci: a) stipendio tabellare; b) r.i.a. (transitorio ove spettante); c) retribuzione di posizione; d) retribuzione di risultato; e) incentivi alla mobilità territoriale; f) altri compensi spettanti in base a specifiche disposizioni di legge”.

[35] Art. 37 (Disposizioni per l’efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie), comma 1, decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 convertito, con mod., dalla legge 15 luglio 2011 n. 111: “I capi degli uffici giudiziari sentiti […], in ogni caso, i presidenti dei rispettivi consigli dell’ordine degli avvocati, entro il 31 gennaio di ogni anno redigono un programma per la gestione dei procedimenti civili, penali, amministrativi e tributari pendenti. Con il programma il capo dell’ufficio giudiziario determina: a) gli obiettivi di riduzione della durata dei procedimenti concretamente raggiungibili nell’anno in corso; b) gli obiettivi di rendimento dell’ufficio, tenuto conto dei carichi esigibili di lavoro dei magistrati individuati dai competenti organi di autogoverno, l’ordine di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, individuati secondo criteri oggettivi ed omogenei che tengano conto della durata della causa, anche con riferimento agli eventuali gradi di giudizio precedenti, nonché della natura e del valore della stessa; b-bis) per il settore penale, i criteri di priorità nella trattazione dei procedimenti pendenti, sulla base delle disposizioni di legge e delle linee guida elaborate dal Consiglio superiore della magistratura”.

[36] Inoltre, sfuggono dal computo gli introiti retributivi derivanti da routinarie prestazioni di lavoro straordinario e gli incrementi realizzati per le progressioni interne orizzontali o verticali, nonché per ricoprire posizioni con indennità aggiuntive (es.: indennità di turno, et similia. Come già detto, il personale di magistratura svolge lavoro straordinario, lavoro a turni e altre svariate attività in condizioni di disagio, senza conseguire indennità retributive paragonabili.

[37] Il personale rimasto in c.d. regime pubblicistico usufruisce, oltreché del meccanismo del c.d. “adeguamento” automatico, anche di una propria e peculiare “contrattazione” discrezionale, effettuata secondo l’ordinamento che li disciplina, che viene poi recepita in un decreto, onde assicurarne l’applicazione erga omnes. Una prima forma speciale di contrattazione è prevista dal capo II del d.lgs. 19 maggio 2000 n. 139, per la carriera prefettizia, che si conclude con l’emanazione di un d.P.R. di recepimento. Inoltre, possiamo ricordare il procedimento negoziale, i cui contenuti vengono recepiti da un d.P.R. previsto dall’art. 14 d.lgs. 24 marzo 2000 n. 85 di riordino della carriera diplomatica. Il d.lgs. 12 maggio 1995 n. 195 s.m.i. disciplina poi la contrattazione collettiva del personale militare e delle forze di polizia, unitariamente per taluni aspetti, ma con parziali diversità quanto a materie oggetto di specifica “negoziazione”, che indi sfocia nel c.d. “accordo sindacale” (per il personale civile), oppure nella c.d. “concertazione” (per il personale militare, anche di polizia) da recepirsi entrambi, ad ogni modo, ai fini dell’applicazione erga omnes, con appositi d.P.R. L’art. 46 d.lgs. 29 maggio 2017 n. 95 ha previsto per i dirigenti delle Forze di polizia ad ordinamento civile l’istituzione di un’area negoziale per la disciplina, con appositi accordi negoziali, degli istituti normativi e del trattamento accessorio. In base all’art. 46, comma 6, d.lgs. 95 cit., è stata prevista la possibilità di estendere la predetta disciplina anche ai dirigenti delle Forze di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate. Per le autorità indipendenti il cui personale è disciplinato con regime pubblicistico (Banca d’Italia, Consob, Antitrust) vigono speciali ordinamenti relativi ai predetti settori, con cospicui riconoscimenti economici per la particolare complessità delle funzioni svolte con autonomia e indipendenza, del tutto sovrapponibili all’autonomia e indipendenza dei magistrati.

[38] Cfr. D. Piccolo, Statistica per le decisioni, Bologna, Il Mulino, II ed., 2010, p. 119: “Il valore di posizione per eccellenza è la media aritmetica delle osservazioni, spesso definita come “media”, senza altre aggettivazioni ed universalmente indicata con il simbolo μ (ossia del mi greco).

[39] Segnatamente, la media è il valore che corrisponde alla somma di tutti i valori diviso il numero degli stessi; la moda è definita come il valore che ha la frequenza più alta; la mediana è quel valore al di sotto del quale cadono la metà dei valori campionari.

[40] Sui concetti di media, moda e mediana, cfr. D. Piccolo, Statistica per le decisioni, cit., p. 145, secondo il quale: “La moda è utile quando occorre “minimizzare gli scontenti”, e quindi in tutte quelle situazioni ove il consenso ed il numero delle singole unità ha significato per la decisione. In breve, la moda è un indice utile per individuare la modalità più rappresentativa. La mediana “minimizza i costi complessivi” ed è soprattutto resistente a valori estremi. In breve, la mediana è un indice per decisioni che implicano costi elevati nei casi estremi. La media aritmetica è il baricentro dei dati e quindi propone un valore che equi-ripartisce il fenomeno tra le unità statistiche, pervenendo così a decisioni nelle quali contano – a parità numerica – gli estremi molto più dei valori centrali. In breve, la media aritmetica è un indice di equilibrio generale. In conclusione, per determinare un valore sintetico della posizione di una distribuzione di frequenza di una variabile quantitativa X, si può suggerire di calcolare almeno la media e la mediana e dal loro confronto […] dedurre utili informazioni sia sulla posizione che sulla forma della distribuzione”.

[41] In estrema sintesi: la media geometrica viene estratta con un’operazione di radice quadratica quando i termini raccolti sono tra loro in progressione quasi geometrica ed è molto adoperata per descrivere fenomeni economici; la media armonica si ottiene facendo la media aritmetica dei reciproci dei termini e poi facendo il reciproco di tale media; la media quadratica si ottiene estraendo la radice quadrata della media aritmetica dei quadrati dei termini; la media ponderata è calcolata quando i termini di cui deve farsi la media hanno una importanza diversa che viene loro attribuita a seconda dello scopo dell’indagine statistica.

[42] Corte cost. 22 ottobre 2012 n. 223 ha dichiarato incostituzionali le disposizioni riguardanti il temporaneo “blocco” degli adeguamenti retributivi disposto dall’art. 9, comma 21, primo periodo, e comma 22, primo e ultimo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010 n. 78, conv., con modif., dalla legge 30 luglio 2010 n. 122.

[43] Il “rapporto organico” (o “d’ufficio”) è il rapporto non giuridico, che determina l’assegnazione o la preposizione di un funzionario ad un ufficio. Vedi: M. S. Giannini, Diritto amministrativo, cit., p. 268, secondo cui il rapporto d’ufficio: “è un rapporto di carattere organizzatorio […] che sta alla base delle imputazioni, nelle varie loro specie, e del riparto-attribuzione delle potestà”, nonché G. Vacirca (voce) Funzionario, in Enc giur., vol. XIV, Roma, Treccani, 1989, p. 1, secondo cui: “Il rapporto d’ufficio e la qualità di funzionario trovano il loro titolo in una investitura, la cui attribuzione è regolata dalle norme organizzatorie che disciplinano l’ufficio”. Cfr. A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, cit., p. 219: “La natura della relazione tra l’organo o ufficio e il soggetto preposto ad esso […], vale a dire tra il centro organizzatorio e l’agente la cui attività viene imputata ad esso […] è una relazione sui generis”; nonché G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, vol. I, Milano, Giuffrè, VIII ed., 1958, p. 137-138.

[44] Sul “rapporto di servizio” (o “di lavoro”), cfr. M. S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. I, Milano, III ed., 1993, p. 268, per il quale io rapporto di servizio: “è un rapporto di carattere patrimoniale, attinente alla remunerazione delle prestazioni del titolare dell’ufficio”; A. M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, vol. I, Napoli, XV ed., 1989, p. 245, il quale descrive il rapporto di servizio come: “la relazione che corre tra l’ente e i soggetti assegnati a tali apparati, siano essi […] pubblici funzionari (e cioè preposti all’esercizio di potestà pubbliche, e perciò a porre in essere atti di diritto pubblico), siano meri agenti (e cioè soggetti assegnati a compiti ausiliari o a servizi o ad attività tecniche e materiali)”.

[45] La retribuzione (o “trattamento economico”) del pubblico impiegato è pacificamente un “diritto soggettivo” del lavoratore, anche nel rapporto di lavoro costituito e regolato dal diritto pubblico-amministrativo, rientrante tra i c.d. diritto patrimoniali. Così amplius cfr. G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, vol. III, Milano, Giuffrè, VI ed., 1958, in part. p. 329 ss, secondo cui lo stipendio è il primo dei diritti patrimoniali per il servizio prestato infatti costituisce “una prestazione periodica in danaro, che gli enti pubblici corrispondono ai loro impiegati come corrispettivo principale del servizio da essi prestato”. Annovera tra “i diritti pieni e incondizionati” il “diritto alle competenze economiche” A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Vol. 1, Napoli, Jovene, XV ed., 1989, p. 330. Altresì cfr. P. Virga, Diritto amministrativo, vol I, Milano Giuffrè, VI ed., 2001, in part. p. 185 ss: “La retribuzione è il complesso degli emolumenti che l’impiegato riceve come corrispettivo della prestazione durante lo svolgimento del servizio attivo”.

[46] In tema, amplius, vedi: L. Riva Sanseverino, (voce) Contratto collettivi di lavoro, in Enc. dir., vol. X, Milano, 1962, p. 55 ss; G. Giugni, (voce) Contratti collettivi di lavoro, in Enc. giur., vol VIII, Treccani, Roma, 1988, anche con riferimenti di diritto comparato. In materia, si veda anche la lucida analisi sulle problematiche della contrattazione collettiva in Italia compiuta da G. Vidiri, L’interpretazione del contratto collettivo nel settore privato e nel pubblico, in Riv. it. dir. lav., n. 1, 2003, p. 81 ss, in part., p. 88: “Proprio in materia di contrattazione collettiva si rivela sovente vana la ricerca della “vera volontà” delle parti”, a causa della: “scarsa chiarezza di numerose clausole di contratti di categoria, è frequente la presenza nelle parti sociali di una “volontà di non volere”, destinata a tradursi in clausole intenzionalmente ambigue in ragione della constatata impossibilità di raggiungere su determinate materie un accordo”.

[47] In ogni caso, in ipotesi di parzialità dei dati disponibili, entro i termini previsti, l’art. 24, comma 2, della legge n. 448 cit. impone che l’adeguamento possa esser effettuato anche in modo parziale “salvo successivo conguaglio”. Ma ciò non consta se sia sempre avvenuto.

[48] Va tenuto conto che il d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), ritenuto applicabile in via residuale anche ai magistrati, quali impiegati dello Stato, tuttavia risulta nella sostanza “abbandonato” dalle riforme normative (con esclusione della parte riguardante le incompatibilità del pubblico dipendente), in quanto, dopo la c.d. privatizzazione-contrattualizzazione, sancita dalla legge delega 23 ottobre 1992 n. 421, il restante personale rimasto a regime pubblicistico “si è dotato” negli anni seguenti di propri ordinamenti settoriali e/o di una propria disciplina contrattuale collettiva speciale recepita in d.P.R. Non così i magistrati che peraltro non hanno una disciplina organica circa lo statuto di carriera e retributivo loro proprio.

[49] Troppo bassa rimane in magistratura la retribuzione corrispondente alla qualifica un tempo di magistrato di Corte di Appello, la quale andrebbe certamente riparametrata al rialzo. Inoltre, la riforma ordinamentale (d.lgs. 5 aprile 2006 n. 160 smi) ha previsto troppe valutazioni di professionalità, ad alcune delle quali non corrisponde un incremento retributivo, che appesantiscono troppo la progressione in carriera e quindi “distolgono” il magistrato dal dedicarsi, con serenità e senza “preoccupazioni”, al delicato lavoro professionale a cui è chiamato.

[50] Ne esce un quadro complessivo in ragione del quale nella magistratura le leve più anziane hanno acquisito uno status di carriera, retributivo e (in prospettiva) pensionistico in verità nettamente superiore alle leve di più recente ingresso, che conseguono un trattamento retributivo e conseguiranno (in futuro) un emolumento pensionistico nettamente inferiore, generandosi in tal modo un forte “divario” tra generazioni, nient’affatto trascurabile!

[51] Dichiarazione del Ministro per la pubblica amministrazione aprile 2021, secondo cui attualmente gli impiegati pubblici sono circa 3,2 milioni, si punta a raggiungere 4 milioni di occupati, in modo da “ripristinare funzioni specifiche e qualità necessarie”.