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Giudice ordinario, giudice speciale: qualcuno è meno indipendente dell’altro?

di Ida Raiola*

Giudice ordinario, giudice speciale: qualcuno è meno indipendente dell’altro?

Sommario: 1.Indipendenza e imparzialità quali requisiti coessenziali all’essere giudice2.L’indipendenza dei giudici speciali3.Quella dei giudici speciali è un’indipendenza minore?

1.Indipendenza e imparzialità quali requisiti coessenziali all’essere giudice

“Se l’indipendenza [del giudice] è…forma mentale, costume, coscienza dell’entità professionale, non è men vero che, in mancanza di adeguate, sostanziali garanzie, essa…degrada a velleitaria aspirazione”[1]: Indipendenza e garanzie poste a presidio di essa sono, dunque, inscindibilmente connesse, perché l’una non può dirsi sussistente senza le altre e queste, con particolare riguardo alle giurisdizioni speciali, vanno congegnate dal legislatore in adempimento del mandato che la Costituzione gli ha espressamente conferito: “La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia”.

A sua volta, l’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo enuncia il diritto di ogni persona “a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale”, sancendo, in tal modo, il diritto di ogni giustiziabile a un giudice che sia in grado di “agire senza alcuna restrizione, impropria influenza, istigazione, pressione, minaccia o interferenza, diretta o indiretta, di qualunque provenienza o per qualunque ragione” (raccomandazione Rec(94)12 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa sull’indipendenza, l’efficienza e il ruolo dei giudici, che richiama, anche dal punto di vista letterale, l’art. 2 dei BasicPrinciples fissati dalle Nazioni Unite).

L’indipendenza, quale prerequisito dell’imparzialità, è, quindi, allo stesso tempo un diritto di ogni persona e una prerogativa del giudice (e del pubblico ministero, quando questi fa parte del sistema giudiziario), inteso come singolo e come corpo[2].

Non si è, dunque, giudici se non si è indipendenti e imparziali e non si è imparziali se non si è indipendenti.

2.L’indipendenza dei giudici speciali

All’adempimento del mandato costituzionale di approntare un sistema di garanzie volte ad assicurare l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali[3] il legislatore ha provveduto – non troppo sollecitamente, a dire il vero – mediante l’introduzione di organismi di autogoverno[4], di natura parzialmente elettiva e a composizione mista, allo scopo di avvicinare il più possibile il sistema delle garanzie pretese dall’art.108 Cost. a quello di rigida protezione da qualsiasi fonte di interferenze reso obbligatorio per la magistratura ordinaria dall’art.104 Cost. Mentre, infatti, quest’ultima norma, dopo aver sancito (al primo comma) che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere, si preoccupa di disciplinare la composizione, le modalità di scelta dei membri elettivi e la durata del Consiglio Superiore della Magistratura, oltre a fissare il regime di non immediata rieleggibilità dei membri elettivi e di incompatibilità dei membri laici, l’art.108, comma secondo, Cost. si limita ad affermare che “la legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali”, facendo onere al legislatore ordinario di predisporre la relativa disciplina. Invero, laddove si pongano a confronto le disposizioni costituzionali dettate in materia di indipendenza dell’autorità giudiziaria ordinaria (artt.104 e 107 Cost.) con quelle dedicate all’indipendenza dei giudici speciali, non può che ricavarsi un giudizio di genericità delle seconde disposizioni (artt.100, 103 e 108 Cost.): si è osservato, al riguardo, che “non si può negare come l’art. 103 Cost. sia una norma meramente attributiva di competenze, mentre gli art. 100, comma 3, e 108, comma 2, nella loro laconicità, rappresentino delle affermazioni di garanzia insufficienti, inidonee a fornire una disciplina specifica dell’indipendenza dei giudici amministrativi e contabili e quindi suscettibili delle più diverse e discrezionali decisioni del legislatore”[5]. Del resto, uno dei più autorevoli costituzionalisti del nostro Paese ebbe a definire l’art.108, comma 2, Cost. come “una pagina bianca”, “un generico e platonico invito rinvio al legislatore”[6], cui era stata lasciata una discrezionalità eccessivamente ampia nell’organizzazione dei giudici speciali.

L’interrogativo al quale la dottrina e la giurisprudenza costituzionale hanno dovuto trovare risposta è stato, perciò, quello di verificare se la cennata discrezionalità potesse spingersi sino a prevedere una disparità di posizione delle magistrature speciali rispetto alla magistratura ordinaria. Mentre la maggior parte della dottrina[7] si è mostrata favorevole alla necessità di assicurare un eguale grado di indipendenza tra i diversi ordini magistratuali, rinvenendo nell’art.101, comma 2, Cost. (“I giudici sono soggetti soltanto alla legge”), la cui applicazione ai diversi ordini magistratuali è indubbia, la norma cardine rispetto alla quale sono preordinate tutte le garanzie di cui agli artt.104 ss. Cost., la Corte Costituzionale si è mostrata più cauta, discorrendo solo di “principi costituzionali comuni”.

Nella sentenza dell’ 11 marzo 2009 n. 87[8], la Corte ebbe a precisare, in particolare, che, tra le garanzie necessarie al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale,  vi è quella dell’indipendenza dei magistrati, la quale riguarda tanto la magistratura ordinaria quanto le giurisdizioni speciali e che, rilevando la garanzia dell’indipendenza del magistrato anche in materia di responsabilità disciplinare – perché la prospettiva dell’irrogazione di una sanzione può condizionare il magistrato nello svolgimento delle funzioni che l’ordinamento gli affida – è necessario, dunque, che siano adottate tutte le misure volte a evitare ogni indebito condizionamento, tra cui anche quelle dirette ad assicurare un’efficace difesa. Una volta riconosciuta la stretta correlazione tra l’indipendenza del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare e la facoltà di scelta del difensore da lui ritenuto più adatto, ne consegue che limitare quest’ultima facoltà significa in definitiva menomare in parte anche il valore dell’indipendenza[9]. Peraltro, la correlazione indicata prescinde dalla natura giurisdizionale o amministrativa del procedimento disciplinare, che dipende dai caratteri che il legislatore ha scelto di attribuire al procedimento stesso e agli organi in esso coinvolti[10]. La diversa configurazione del procedimento dipende da una scelta del legislatore, che ben può articolare diversamente l’ordinamento delle singole giurisdizioni, a patto che siano rispettati i principi costituzionali comuni. Indipendentemente dalla natura che la legge attribuisce al procedimento e all’autorità disciplinare, dalla garanzia costituzionale di indipendenza deriva una particolarità di questo procedimento, quando esso riguardi un magistrato, in quanto per quest’ultimo, a differenza di quanto accade per altre categorie di personale pubblico[11], la Costituzione impone che sia assicurata, anche in sede disciplinare, la massima espansione del diritto di difesa.

Ancora più significative sul tema dell’indipendenza del giudice speciale sono le statuizioni della Consulta contenute nella sentenza del 10 gennaio 2011 n.16[12], con la quale, investito della questione di legittimità dell’art.11, comma 8, della l. 4 marzo 2009 n.15 nella parte in cui prevede che la componente consiliare eletta dai magistrati contabili sia numericamente uguale a quella rappresentativa del Parlamento e non sia garantita la presenza maggioritaria dei rappresentanti dei magistrati della Corte dei conti in seno all’organo di autogoverno, il giudice delle leggi mostra di condividere la soluzione prospettata dal giudice remittente al problema delle garanzie istituzionali del giudice speciali, nel senso che, se, da un lato, non può affermarsi la integrale estensione agli organi di garanzia delle giurisdizioni speciali (impropriamente detti organi di autogoverno) del modello previsto dall’art.104 Cost. e, dall’altro, va escluso che la riserva di legge contenuta nell’art.108, comma 2, Cost. sia del tutto priva di vincoli finalistici, va , però, affermata la necessità di un organo di garanzia sul presupposto che l’indipendenza è “forma mentale, costume, coscienza d’un’entità professionale”, che “in mancanza di adeguate, sostanziali garanzie”  essa degrada a “velleitaria aspirazione”[13].Una volta che il legislatore ordinario, in attuazione del dettato costituzionale abbia istituito tali organi per tutte le giurisdizioni speciali, occorre, però, riconoscere che degli organi suddetti debbono necessariamente far parte sia componenti eletti dai giudici delle singole magistrature, sia componenti esterni di nomina parlamentare, nel bilanciamento degli interessi, costituzionalmente tutelati, ad evitare tanto la dipendenza dei giudici dal potere politico, quanto la chiusura degli stessi in “caste” autoreferenziali, essendo, in ogni caso, riservata alla legislatore in ordine al rapporto numerico tra membri togati e membri laici”, di nomina parlamentare, che, perciò, può essere variamente fissato.

3.Quella dei giudici speciali è una indipendenza “minore”?

Emerge, dunque, un quadro costituzionale e normativo proiettato complessivamente ad assimilare le garanzie di indipendenza dei giudici speciali a quelle del giudice ordinario, il quale, se può giustificare l’affermazione che il sistema di garanzie poste a presidio dell’indipendenza dei giudici della giurisdizione ordinaria, da un lato, e delle giurisdizioni speciali, dall’altro, sia diverso per fonte e, solo per una parte limitata (con riguardo, ad esempio, alla disciplina del procedimento disciplinare), nei contenuti, non autorizza però ad affermaretout court, come è avvenuto in questi giorni, che il giudice amministrativo sia “obiettivamente dotato di uno statuto di indipendenza minore, rispetto alla magistratura ordinaria” per invocare la limitazione o la sottrazione al sindacato del giudice amministrativo dell’esercizio del potere, spettante al Consiglio Superiore della Magistratura, di designare i vertici degli uffici giudiziari, anche “di quello che è competente a condurre le indagini su quel “giudice””[14].

Che il giudice amministrativo sia un giudice e lo sia senza virgolette, che sia il giudice non solo degli interessi legittimi ma anche, quando abbia giurisdizione esclusiva, dei diritti (e, tra questi, anche dei diritti fondamentali dell’individuo) lo afferma la Costituzione (artt. 24, 103, 108, comma 2, 113, 125), ancora prima lo aveva rivelato la Storia con l’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato (l. 31 marzo 1889 n.5992) e il successivo riconoscimento della natura giurisdizionale dell’attività che essa e poi le successive Sezioni del Consiglio di Stato furono chiamate a svolgere (l. 7 marzo 1907 n.62), lo dimostra la quotidiana pratica dei Tribunali Amministrativi Regionali e del Consiglio di Stato investiti dalla domanda di giustizia dei cittadini rispetto alle varie forme in cui il pubblico potere si dispiega.

E proprio nello svolgimento del suo mandato costituzionale di giudice chiamato a sindacare l’attività autoritativa dell’Amministrazione – non da ultimo nell’attuale stagione pandemica – che il giudice amministrativo ha dimostrato, inequivocabilmente e nei fatti, la sua indipendenza proprio da quel potere che è chiamato a vagliare, pur sempre alla luce e nei limiti delle doglianze mosse dal cittadino[15].

Indipendenza, inoltre, che ha dimostrato, a più riprese, di saper tener ferma anche nel caso in cui la domanda di giustizia provenga dal cittadino magistrato che lamenti di essere stato leso, nelle proprie legittime aspirazioni di carriera, dal cattivo esercizio del potere di designazione dei vertici giudiziari da parte del Consiglio Superiore della Magistratura.Questo potere, di carattere discrezionale, conferito espressamente dall’art.105 Cost. null’altro è che unpubblico potere, di natura amministrativa, tipico e nominativamente individuato – come è necessario in un ordinamento democratico permeato dal principio di legalità –e, come gli altri pubblici poteri, deve svolgersi secondo gli ordinari canoni di trasparenza, logicità e ragionevolezza, deve concludersi nell’adozione di un atto solo all’esito di una completa e approfondita istruttoria, e deve essere reso intellegibile, nel suo farsi e divenire atto, mediante un’adeguata e puntuale motivazione[16].

Non è tempo – e l’auspicio è che non arrivi mai il tempo – in cui un pubblico potere di natura amministrativa possa rivendicare di essere “più uguale” degli altri e sottrarsi, perciò, in tutto o in parte alle forme di controllo che la Costituzione ha previsto.

 *Consigliere del T.A.R. Campania, Componente dell’Ufficio studi della Giustizia Amministrativa

[1] Corte cost., 9 marzo 1988 n. 266, www.cortecostituzionale.it

[2]CIVININIM. G., Indipendenza e imparzialità dei magistrati, in www.questionegiustizia.it

[3] Sul tema sia consentito il rinvio a RAIOLA I., Commento agli artt. 10, 11 e 12, ne La responsabilità civile dei magistrati. Commentario alle leggi 13 aprile 1988 n.117 e 27 febbraio 2015 n.18, 1017, 349 ss.

[4] La Corte Costituzionale ha osservato che il termine “autogoverno”, con il quale usualmente ci si riferisce alle attribuzioni del C.S.M. e degli Organi di amministrazione delle giurisdizioni speciali o, più in generale, al non assoggettamento dei magistrati come corpo o singoli, ad altri poteri dello Stato, pur essendo entrato nell’uso comune è da ritenersi improprio, dovendosi escludere che “il Consiglio superiore [della magistratura, CSM] rappresenti, in senso tecnico, l’ordine giudiziario, di guisa che, attraverso di esso, se ne realizzi immediatamente il cosiddetto autogoverno (espressione, anche questa, da accogliersi piuttosto in senso figurato che in una rigorosa accezione giuridica): con la conseguenza che, esercitando il potere autorizzativo in questione, esso verrebbe ad agire in luogo, per conto ed in nome dell’ordine giudiziario medesimo. La composizione mista dell’organo, solo in parte – anche se prevalente – formato mediante elezione da parte dei magistrati, e per altra parte, invece, da membri eletti dal Parlamento (tra i quali dev’essere scelto il Vicepresidente), oltre che da membri di diritto, tra cui il Capo dello Stato, che lo presiede, si oppone chiaramente ad una simile raffigurazione” (Corte costituzionale, 28 giugno 1973, n.142, in www.cortecostituzionale.it. ONIDA, nel rifersi al C.S.M., discorre di “semi auto-governo” (ONIDA V., voce, Giurisdizione speciale, in N.mo Dig. It., Appendice, III, Torino, 1982, 1074.)

[5] PAGANO F.F., La composizione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti e l’indipendenza dei giudici speciali al vaglio della Corte Costituzionale, in www.forumcostituzioanle.it.

[6] MORTATI C., Istituzioni di Diritto Pubblico, Padova, Vol. II, 1976, 1251.

[7]D’ALOIA A., L’autogoverno delle magistrature “non ordinarie”nel sistema costituzionale della giurisdizione, Napoli, 1996, 156; PINARDI R., “Autogoverno” ed indipendenza dei giudici speciali: riflessioni sulla composizione prevista per il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, in Giur. cost., 1996, 3318, Id., La nuova composizione del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa alla luce delle modifiche introdotte dalla legge 205/2000, in Diritto pubblico, 2001, 331; CARBONE G., Art. 100, inCommentario alla Costituzione (art 99-103), a cura di BRANCA G. –  PIZZORRUSSO A., Bologna-Roma, 1994, 130; LAVAGNA C., Istituzioni di Diritto pubblico, Torino, 1981, 992 ss.

[8] Con la sentenza dell’11 marzo 2209 n.87, la Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale degli articoli 34, secondo comma, della legge 27 aprile 1982, n. 186 e 10, comma 9, della legge 13 aprile 1988, n. 117, nella parte in cui escludono che il magistrato amministrativo o contabile, sottoposto a procedimento disciplinare, possa farsi assistere da un avvocato.

[9] Corte Cost., 16 novembre 2000, n.497 in www.cortecostituzionale.it con la quale la Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’articolo 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare possa farsi assistere da un avvocato.

[10] Il procedimento disciplinare relativo ai magistrati ordinari ha natura giurisdizionale e si svolge dinanzi alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con quanto ne consegue in ordine al regime delle impugnazioni. Quello relativo ai magistrati amministrativi e contabili ha natura di procedimento amministrativo e si svolge dinanzi al Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa o al Consiglio di presidenza della Corte dei conti.

[11] Corte Cost., 30 maggio 2008, n.182 in www.cortecostituzionale.it.

[12] Corte Cost., 10 gennaio 2011 n. 16 inwww.cortecostituzioanle.it. In questo caso, la Corte dichiarò inammissibile la questione  a causa dell’incertezza del petitum, dal momento che  il giudice remittente, nel richiedere che la Corte, con sentenza additiva, individuasse un concreto rapporto numerico tra membri togati e membri laici, indicava, con formula dubitativa, la soglia minima, mediante l’espressione “quanto meno”  in riferimento alla previsione di un rappresentante in più rispetto al numero dei rappresentanti del parlamento

[13] Corte Cost., 9 marzo 1988 n.266, cit.

[14] Il riferimento è ad un post pubblicato in data 25 novembre 2021sul blog di Area Democratica per la Giustizia: AA.VV., La scelta del Procuratore di Roma.

[15]Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 9 dicembre 2019 n.8399, in www.giustizia-amministrativa.it: “Il processo amministrativo non costituisce una giurisdizione di diritto oggettivo, volta semplicemente a ristabilire una legalità che si assume violata, ma ha la funzione di dirimere una controversia fra un soggetto che si afferma leso in modo diretto e attuale da un provvedimento amministrativo e l’amministrazione che lo ha emanato (Cons. Stato, V, 19 febbraio 2007, n. 826). In particolare, il diritto al ricorso nel processo amministrativo sorge in conseguenza della lesione attuale di un interesse sostanziale e tende a un provvedimento del giudice idoneo, se favorevole, a rimuovere quella lesione (Cons. Stato, II, 20 giugno 2019, n. 4233). Le condizioni soggettive per agire in giudizio sono la legittimazione processuale, cosiddetta legittimazione ad agire, e l’interesse a ricorrere (Cons. Stato, IV, 21 gennaio 2019, n. 508). Nel giudizio impugnatorio, la legittimazione ad agire spetta al soggetto che afferma di essere titolare della situazione giuridica sostanziale di cui lamenta l’ingiusta lesione per effetto del provvedimento amministrativo, posizione speciale e qualificata, che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo, mentre l’interesse al ricorso consiste nel vantaggio pratico e concreto che può derivare al ricorrente dall’accoglimento dell’impugnativa (Cons. Stato, IV, 1° giugno 2018, n. 3321; 19 luglio 2017, n. 3563); ancora, ex multis, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 gennaio 2016, n. 265 in www.giusitizia –amministrativa.it: “Nel giudizio amministrativo, fatta eccezione per ipotesi specifiche in cui è ammessa l’azione popolare (ad esempio il giudizio elettorale), non è invero consentito adire il giudice al solo fine di conseguire la legalità e la legittimità dell’azione amministrativa, se ciò non si traduca anche in uno specifico beneficio in favore di chi la propone, che dallo stesso deve essere dedotto ed argomentato. Ciò in quanto in detto processo l’interesse a ricorrere è condizione dell’azione e corrisponde ad una specifica utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, contraddistinto indefettibilmente dalla personalità e dall’attualità della lesione subita, nonché dal vantaggio ottenibile dal ricorrente; in sostanza, sussiste interesse al ricorso se la posizione azionata dal ricorrente lo colloca in una situazione differente dall’aspirazione alla mera ed astratta legittimità dell’azione amministrativa genericamente riferibile a tutti i consociati, se sussiste una lesione della sua posizione giuridica, se è individuabile un’utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento e se non sussistono elementi tali per affermare che l’azione si traduce in un abuso della tutela giurisdizionale”.

[16] Per consolidata giurisprudenza, nel conferimento degli incarichi direttivi e semi-direttivi il CSM gode di un ampio margine di apprezzamento che è sindacabile, in sede di legittimità, solo se inficiato per irragionevolezza, omissione o travisamento dei fatti, arbitrarietà o difetto di motivazione (ex multis:Cons. Stato sez. V, 11 giugno 2021, n.4523; Id., V, 11 dicembre 2017, n. 5828; Id., V, 16 ottobre 2017, n. 4786; Id.., IV, 6 dicembre 2016, n. 5122; Id., IV, 11 settembre 2009, n. 5479;Id., IV, 31 luglio 2009, n. 4839; Id., IV, 14 luglio 2008, n. 3513; Id., V, 18 dicembre 2017, n. 5933).Resta, invece, preclusa al sindacato giurisdizionale la valutazione dell’opportunità e convenienza dell’atto dell’organo di governo autonomo, o una decisione che esprima una volontà del giudicante che si sostituisca a quella dell’amministrazione, procedendo ad un sindacato di merito. La legge assegna al CSM un margine di apprezzamento particolarmente ampio ed il sindacato del giudice amministrativo deve restare parametrico della valutazione degli elementi di fatto compiuta dalla pubblica amministrazione, senza evidenziare una diretta “non condivisibilità” della valutazione stessa (in termini: Cass. SS.UU., 5 ottobre 2015, n. 19787).