di Alessandro Cacciari[*]
Premessa
Il d.l. 9 giugno 2021, n. 80, contenente misure urgenti per il rafforzamento della capacità delle pubbliche amministrazioni, è stato convertito dalla legge 6 agosto 2021, n. 113 (nel seguito: “decreto”). Scopo della riforma è aumentare il livello di efficienza delle amministrazioni per garantire l’attuazione corretta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (nel seguito: “Piano”). Il decreto, agli articoli 11 e seguenti, contiene disposizioni che interessano la giustizia sia ordinaria che amministrativa prevedendo, in particolare, il rafforzamento dell’Ufficio per il processo, chiamato a fornire supporto ai giudici nella definizione delle cause pendenti allo scopo di eliminare l’arretrato e rendere la durata dei processi conforme agli standards europei. Oltre a queste il decreto, con riguardo al processo amministrativo, contiene altre disposizioni di riforma che è opportuno esaminare punto per punto, poiché cambieranno non di poco il lavoro di giudici e avvocati.
Patrocinio a spese dello Stato
In primo luogo va segnalata l’innovazione introdotta in tema di svolgimento delle sedute delle Commissioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, previste dall’art. 14 dell’allegato 2 delle norme di attuazione del codice processo amministrativo.
L’articolo 17 del decreto ha previsto che le sedute delle Commissioni si svolgano mediante collegamento da remoto e che verbali e provvedimenti della stessa siano sottoscritti con firma digitale del suo Presidente e Segretario. Si tratta di una, a mio parere opportuna, innovazione nata dall’esperienza svolta durante l’emergenza pandemica e si giustifica con il carattere non giurisdizionale dell’attività svolta da queste Commissioni, che si conclude con l’emanazione di provvedimenti amministrativi.
La trattazione delle cause
Quanto all’attività propriamente giurisdizionale, il decreto ha novellato l’articolo 73 del codice del processo amministrativo introducendovi il comma 1 bis. Questa nuova norma da un lato vieta di disporre la cancellazione delle cause dal ruolo; dall’altro detta disposizioni restrittive in tema di rinvio della trattazione tanto se la richiesta provenga dalle parti, quanto se il Collegio intenda disporlo d’ufficio. La norma consente il rinvio solo in “casi eccezionali” e la sussistenza del presupposto deve essere indicata nel verbale di udienza ovvero, ove disposto al di fuori dell’udienza, nel relativo decreto presidenziale.
Si tratta di una disposizione fortemente innovativa dell’attività processuale, che subordina il rinvio all’esistenza di ragioni eccezionali e ad uno stringente obbligo motivazionale da parte del giudice.
Già era stato acquisito dalla giurisprudenza il principio secondo cui i tempi del processo non sono nella disponibilità delle parti e, pertanto, ogni richiesta di rinvio della trattazione della causa deve essere valutata dal giudice in relazione alla durata del processo e ai motivi per i quali viene richiesto (da ultimo C.d.S. IV, 28 giugno 2021 n. 4908). Con la disposizione in esame il legislatore mostra un evidente sfavore per il rinvio e impone non solo l’obbligo motivazionale esplicito per la sua concessione (nel verbale d’udienza o nel decreto presidenziale che dispone il rinvio), ma la limita a casi eccezionali. Il tutto è rimesso al prudente apprezzamento del giudice, il Collegio ove si tratti di rinvio da disporre in udienza o il Presidente laddove venga chiesto al di fuori dell’udienza. Occorrerà quindi molta prudenza nel decidere in proposito perché il rinvio ingiustificato della trattazione, se certo non potrà rilevare come motivo di invalidità del processo, tuttavia sarà rilevante sotto il profilo della responsabilità disciplinare del giudice che lo dispone e finanche, laddove l’eccessiva del durata del processo provochi una richiesta di indennizzo, quale motivo di responsabilità per danno erariale. D’altro lato, mandare comunque in decisione un processo nel quale venga richiesto il rinvio può andare a discapito di una delle parti in causa alterando la parità delle armi processuali.
Certamente non è più lecito disporre rinvii in base a generiche “trattative in corso tra le parti”; tuttavia al di fuori di questi casi la decisione giudiziale può essere particolarmente difficile dovendo da un lato, rispettare il disfavore del legislatore per l’istituto e, dall’altro, evitare di concedere vantaggi indebiti a una delle parti in causa. Pensiamo all’impugnazione di un piano urbanistico. Nel corso del processo l’Amministrazione ne inizia una rielaborazione tenendo conto anche dei motivi del gravame e nel frattempo la causa è chiamata per la decisione. Le parti chiederanno il rinvio in attesa della definizione del procedimento. In tal caso l’eventuale reiezione della richiesta con decisione della causa potrà attribuire un “vantaggio procedimentale” ad una delle parti della controversia. Altrettanto dicasi laddove in sede di udienza l’Amministrazione rappresenti di avere iniziato un procedimento in autotutela per l’annullamento o la revoca del provvedimento impugnato.
Il prudente apprezzamento del giudice dovrà quindi essere esercitato con attenzione per valutare la sussistenza effettiva di motivi eccezionali che giustifichino la dilazione della decisione, navigando con perizia tra Scilla e Cariddi: occorre attribuire maggior valore alla definizione della causa con accorciamento dei tempi processuali o alla rielaborazione del rapporto di diritto pubblico da parte dei soggetti della controversia? È probabile che la risposta della giurisprudenza non sarà univoca ma adeguata ai singoli casi. Certo una maggiore velocità nella definizione dei processi dovrebbe indurre le Amministrazioni ad una maggior speditezza nel definire i propri procedimenti e potrà fungere da volano in tal senso.
Perenzione
Sempre in un’ottica di accelerazione del processo il decreto, novellando il primo comma dell’articolo 82 c.p.a., riduce da 180 a 120 giorni il termine concesso al ricorrente per presentare una nuova istanza di fissazione udienza al fine di evitare la perenzione quinquennale.
Sospensione e interruzione
Il decreto, nella sua ratio acceleratoria, interviene sulla sospensione e l’interruzione del processo. Novellando l’articolo 79 c.p.a. dispone che la seconda debba essere dichiarata dal Presidente con proprio decreto. Ne segue che le cause nelle quali si verifichi una causa di interruzione non dovranno essere portate in udienza e l’interruzione sarà dichiarata con decreto presidenziale. Inoltre, introducendo un nuovo comma 3 bis nell’articolo 80 c.p.a., dispone che il Presidente possa verificare, dopo la sospensione o l’interruzione del giudizio, se persistono le ragioni che le hanno determinate: se queste siano venute meno, dovrà fissare d’ufficio l’udienza trascorsi tre mesi dalla loro cessazione. Questo comporta l’onere per Presidenti e Segreterie di esaminare periodicamente le cause sospese o interrotte, per verificare se permangano le ragioni della sospensione o dell’interruzione.
Smaltimento dell’arretrato
Il decreto poi dedica diverse disposizioni alle udienze straordinarie per lo smaltimento delle cause arretrate[1].
L’articolo 16 dell’Allegato 2 al c.p.a. aveva previsto misure straordinarie per ridurre le pendenze arretrate, da adottare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Presidente del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, previa deliberazione del Consiglio medesimo[2]. Il comma 5 dell’articolo 17 del decreto onera il C.d.P. a programmare un numero ulteriore di udienze straordinarie, tale da garantire il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal Piano anche “aggiornando” il numero di cause da assegnare al Presidente e ai componenti dei Collegi impegnati in esse. Il termine “aggiornare” deve evidentemente essere letto nel senso di “aumentare” il numero di cause che ciascun Collegio (Presidente e relatori) dovrà svolgere.
Il comma 6 dell’articolo 17 ribadisce la volontarietà della partecipazione alle udienze straordinarie e riguarda sia quelle previste in attuazione del Piano, sia quelle “ordinarie” già previste indipendentemente da esso. In tal senso va interpretato il rinvio del comma 6 dell’articolo al precedente comma 5 che menziona entrambe le tipologie di udienze straordinarie; peraltro la volontarietà della partecipazione a quelle “ordinarie” era già prevista dal d.P.C.M. 27 marzo 2013 attuativo dell’art. 16 dell’Allegato 2 al c.p.a.
La stessa norma contenuta nel comma 6 dell’articolo 17 del decreto prevede che le udienze straordinarie si svolgano mediante collegamento da remoto. Quest’ultima costituisce una interessante novità poiché la trattazione da remoto, attuata in via eccezionale durante l’emergenza pandemica, diventa così modalità ordinaria anche se solo con riguardo alle udienze dedicate allo smaltimento dell’arretrato. È evidente la finalità incentivante alla partecipazione dei magistrati a queste udienze, confermata dal fatto che a norma dell’ultimo periodo del citato comma 6 “la partecipazione dei magistrati alle udienze straordinarie di cui al comma 5 costituisce criterio preferenziale, da parte del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, nell’assegnazione degli incarichi conferiti d’ufficio”. Anche queste disposizioni rinviano la definizione del proprio ambito di applicazione al comma 5 dello stesso articolo e perciò può ritenersi che si riferiscano sia alle udienze straordinarie necessarie per realizzare gli obiettivi del Piano, che a quelle già previste indipendentemente da esso. Il comma 7 dell’articolo 17 del decreto, peraltro, alla lett. a), n. 6 introduce un nuovo comma 4 bis all’art. 87 c.p.a. prevedendo che “le udienze straordinarie (tutte, n.d.r.) dedicate allo smaltimento dell’arretrato sono svolte in camera di consiglio da remoto” confermando così che questa sarà modalità ordinaria per la loro trattazione. È da chiedersi, a questo proposito, se il sacrificio del principio di pubblicità dell’udienza possa ritenersi giustificato dalla finalità di smaltire i processi arretrati. Il sacrificio è stato necessario durante l’emergenza pandemica per garantire la funzionalità del processo amministrativo senza rischi per i suoi attori; occorre però interrogarsi se questo sacrificio possa essere ragionevolmente giustificato, in condizioni normali, da finalità acceleratorie. Mi limito a porre l’interrogativo.
I ricorsi “facili”
L’articolo 17 del decreto introduce poi l’articolo 72 bis nel codice di rito.
La nuova norma si intitola “Decisione dei ricorsi suscettibili di immediata definizione”. Il riferimento è ai ricorsi privi di domanda cautelare, poiché laddove sia proposta istanza di tutela interinale e il ricorso sia suscettibile di definizione immediata, il Collegio potrà provvedere con sentenza in forma semplificata all’esito della camera di consiglio cautelare.
L’ambito di applicazione della norma riguarda i ricorsi che (oltre a non essere corredati da domanda cautelare) non richiedono istruttoria né adempimenti in rito, come l’integrazione del contraddittorio, e sono quindi pronti per la decisione. Essa introduce un nuovo procedimento speciale per questa tipologia di cause prevedendone la trattazione obbligatoria nella prima camera di consiglio utile, dopo il decorso di 20 giorni dal perfezionamento dell’ultima notifica e 10 giorni dal deposito del ricorso.
Il contraddittorio viene garantito mediante la facoltà delle parti di depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio.
Il rinvio della trattazione può essere concesso solo per eccezionali motivi, ribadendone così la limitazione ai soli casi eccezionali previsto in via generale dal secondo periodo del nuovo comma 1 bis dell’articolo 73 c.p.a.
Una volta chiamata in decisione la causa (in camera di consiglio), si aprono due possibilità per il Collegio.
Se la sua definizione dipende da una questione in rito, il Collegio decide in camera di consiglio e ove la questione non sia stata proposta in via di eccezione dovrà essere sottoposta per il contraddittorio alle parti presenti in udienza. La mancata partecipazione alla camera di consiglio è quindi un rischio per la parte poiché, ove venga rilevata d’ufficio la questione rituale, non potrà interloquire. Solo laddove la questione in rito sia particolarmente complessa il Collegio assegnerà alle parti un termine, non superiore a 20 giorni, per il deposito di memorie e la causa verrà decisa dopo la scadenza, senza convocazione di un’ulteriore camera di consiglio.
Se invece la definizione della causa comporta la trattazione di questioni in merito, il Collegio dovrà con ordinanza stabilire un’udienza pubblica.
In ogni caso, in base al comma 2, ultimo periodo, dell’articolo 72 bis la decisione dovrà essere adottata con sentenza in forma semplificata.
Questa norma deve essere letta e interpretata congiuntamente a quelle dedicate all’Ufficio per il processo e, in particolare, alle Linee guida per lo smaltimento dell’arretrato della Giustizia amministrativa emanate con decreto del Presidente del Consiglio di Stato 28 luglio 2021[3]. L’emanazione di apposite linee guida è stata prevista dall’articolo 17, comma 2, del decreto al fine (anche) di indicare i compiti degli Uffici del processo.
Premesso che le Linee guida sono applicabili a tutti gli Uffici per il processo e non solo a quelli presenti nei Tribunali indicati dal decreto, compito di questi uffici è monitorare quotidianamente tutti i ricorsi via via che vengono depositati per verificare se sussistano profili che ne rendono possibile l’immediata definizione. L’Ufficio deve inoltre organizzare udienze tematiche per cause seriali, indicando per ogni fascicolo se esistono precedenti specifici.
Le segnalazioni devono essere effettuate settimanalmente al Presidente dell’Ufficio giudiziario per fissare la trattazione dei ricorsi più risalenti (che non siano già a ruolo) alle udienze straordinarie di smaltimento dell’arretrato, in occasione delle quali verranno decisi anche i ricorsi seriali, e per fissare anche la rapida trattazione camerale dei ricorsi suscettibili di definizione immediata.
Le Linee guida prevedono poi che i ricorsi iscritti fino al 31 dicembre 2019 vengano fissati per la trattazione prioritaria, secondo l’ordine cronologico, in misura “nettamente prevalente” rispetto ai ricorsi iscritti dal 1° gennaio 2020.
Sarà quindi l’Ufficio per il processo a filtrare, ricorso per ricorso, quelli cui può essere applicato il nuovo articolo 72 bis ma anche, deve ritenersi, gli altri procedimenti di definizione semplificata delle cause. Il primo viene infatti a inserirsi in un ambito sistemico nel quale il legislatore ha individuato diversi meccanismi per la rapida definizione del processo, derogatori rispetto al processo ordinario. E qui si apre un discorso più generale.
I meccanismi semplificatori del processo amministrativo-considerazioni generali
La nuova norma sui “ricorsi facili” si inserisce in un insieme di meccanismi processuali tendenti a portare all’immediata decisione quei ricorsi che appaiono suscettibili di immediata definizione, in quanto non richiedono istruttoria né ulteriori adempimenti processuali.
M riferisco anzitutto all’articolo 71 bis c.p.a. in base al quale se a seguito dell’istanza di prelievo si verifica la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, la causa può essere iscritta per la trattazione in camera di consiglio e ivi decisa con sentenza in forma semplificata. Sul punto le parti devono essere solo sentite e non vi è necessità del loro consenso.
In base poi all’articolo 72 c.p.a. se la decisione della controversia dipende da una singola questione di diritto e non vi sono contestazioni in punto di fatto, l’udienza di discussione (in questo caso pubblica) deve essere fissata con priorità.
A queste due disposizioni si aggiunge ora l’articolo 72 bis.
L’Ufficio per il processo dovrebbe quindi fungere da filtro (anche) per selezionare e segnalare le cause che possono essere definite con questi meccanismi, il cui moltiplicarsi lascia pensare che attuale tendenza sistemica sia la “fuga” dal processo amministrativo così come l’abbiamo tradizionalmente conosciuto.
Già il codice di rito, al momento della sua emanazione, individuava un meccanismo a doppia velocità per la trattazione dei ricorsi, uno ordinario e l’altro più rapido all’art. 119, per le materie ivi indicate, con dimezzamento dei termini processuali (escluso quello per la proposizione del gravame, dei motivi aggiunti e del ricorso incidentale); fissazione obbligata dell’udienza di merito entro tempi certi in caso di fondatezza dell’impugnazione e pubblicazione (su richiesta) del dispositivo della sentenza. Il legislatore aveva quindi effettuato la scelta di riservare tempi più rapidi per le cause relative a materie nelle quali riteneva sussistente un interesse pubblico particolarmente rilevante alla definizione dei rapporti giuridici, riservando i tempi ordinari alle altre.
Alle cause individuate dall’articolo 119 dovevano poi aggiungersi quelle di cui al libro quarto, caratterizzate dalla trattazione in camera di consiglio e conseguentemente soggette (anch’esse) al dimezzamento dei termini processuali ex art. 87 c.p.a. Si tratta (oltre ai giudizi cautelari) dei processi in materia di silenzio, accesso ai documenti amministrativi e violazione degli obblighi di trasparenza e ottemperanza, nonché quelli per l’opposizione ai decreti che pronunciano l’estinzione o l’improcedibilità del giudizio.
In questi procedimenti la camera di consiglio per la trattazione deve essere fissata d’ufficio alla prima udienza utile dopo il decorso di trenta giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti intimate. La controversia deve essere decisa con sentenza in forma semplificata.
A questi riti si è poi aggiunto l’ulteriore processo “superspeciale” per l’impugnazione degli atti di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, disciplinato dall’articolo 120 c.p.a. con tempi di trattazione ancora più abbreviati; definizione “di norma” in esito all’udienza cautelare ed utilizzo obbligatorio della sentenza in forma semplificata.
Ora a questi procedimenti si aggiungono quelli disciplinati dagli articoli 71 bis, 72 e 72 bis c.p.a. ed anche l’udienza per lo smaltimento dell’arretrato, che può ritenersi un rito a sé stante in quanto caratterizzato oltre che dal suo oggetto (cause arretrate), anche dal fatto che è l’unico (al momento di redazione dell’articolo) per cui è previsto lo svolgimento da remoto a prescindere dallo stato di emergenza sanitario.
In questo senso sembra si possa parlare di fuga dal processo amministrativo “ordinario” in favore di forme processuali che diano garanzia di speditezza, mediante l’obbligatoria iscrizione a ruolo in tempi rapidi e certi e la decisione con sentenza in forma semplificata, cui si aggiunge spesso l’uso della camera di consiglio in luogo dell’udienza pubblica.
Quanto a quest’ultimo aspetto (ma vale anche per l’utilizzo del “remoto” quale modalità ordinaria di svolgimento della trattazione) sarebbe opportuno chiedersi fino a che punto il principio di pubblicità dell’udienza, sancito addirittura in sede convenzionale (articolo 6 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo), possa legittimamente essere sacrificato in nome della rapidità e della speditezza.
Quanto all’utilizzo della sentenza in forma semplificata per definire determinate tipologie di controversie, deve rilevarsi che non sempre queste ultime sono caratterizzate da quella semplicità costituente presupposto di tale pronuncia giurisdizionale.
La definizione della sentenza in forma semplificata è data all’articolo 74 c.p.a. che pone a suo presupposto “la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso”. Il richiamo contenuto in singole disposizioni del codice di rito a questa forma di sentenza presupporrebbe quindi l’esistenza di tale presupposto che, invece, è per lo più assente non solo nei processi aventi ad oggetto l’affidamento dei contratti pubblici, ma anche in quelli relativi ad altre materie (come l’accesso alla documentazione amministrativa) per le cui controversie il legislatore ne prevede l’utilizzo. Insomma l’obbligo, anche se in alcuni casi previsto solo “di norma”, dell’utilizzo della sentenza in forma semplificata rischia di essere una finzione, con buona pace delle esigenze di speditezza che si vorrebbero in tal modo soddisfare. Dobbiamo infatti ricordare che la brevità della motivazione non deve pregiudicare l’esaustività della motivazione, il cui compito è rendere esplicito il ragionamento logico-giuridico posto dal giudice a base della decisione. La sentenza, sebbene redatta in forma semplificata, definisce infatti un giudizio a cognizione piena[4] e perciò ritengo non possa essere utilizzata a fronte di fattispecie complesse[5]. Temo che una disposizione che ne imponga l’utilizzo in via generale sia destinata a non trovare applicazione fallendo, quindi, gli obiettivi di velocizzazione del processo che si propone.
Sembra che il legislatore cerchi soluzioni in grado di risolvere in via rapida, nel breve periodo, il problema dell’eccessiva durata del processo amministrativo e dell’arretrato, ma le uniche soluzioni per risolvere tali problemi sembrano piuttosto quelle di medio periodo come l’istituzione di un maggior numero di sezioni laddove il carico di lavoro è maggiore. Va infatti ricordato che il problema dell’arretrato si concentra in determinate sedi, del che dà atto lo stesso decreto che all’articolo 12, comma 1, le menziona espressamente al fine di ivi destinare le unità aggiuntive di personale che verranno assunte per l’Ufficio del processo. L’attuale Consiglio di Presidenza ha coscienza del problema e sta lavorando in tal senso, anche se l’operazione non sarà risolutiva fintantoché i concorsi per l’accesso alla magistratura amministrativa esiteranno vincitori in numero minore rispetto ai posti messi a concorso[6] alcuni dei quali poi, essendo vincitori anche di altri concorsi come quello per la Corte dei conti, optano per i secondi in luogo dell’immissione presso un Tribunale Amministrativo Regionale. Occorrerebbe quindi ragionare sia sulle modalità di preparazione al nostro concorso che sull’appeal (scarso) che quella amministrativa sembra avere rispetto ad altre magistrature. Stanti i limiti del presente lavoro, mi limito anche in questo caso a porre il problema.
Sarebbe inoltre necessario individuare soluzioni strutturali a livello legislativo, ad esempio rivedendo il carico di competenze funzionali in capo al T.A.R. del Lazio-sede di Roma e attivando un decentramento delle funzioni di secondo grado presso il settentrione e il meridione del Paese. Diversamente opinando, vi è il rischio che queste riforme falliscano il loro obiettivo e che, soprattutto, in assenza di un approccio sistemico il processo amministrativo si “sfilacci” in procedimenti e sottoprocedimenti con perdita di logica unitaria. Sarebbe perciò opportuno, a mio parere, procedere se non ad una revisione almeno ad una “manutenzione complessiva” del processo amministrativo. Ancora una volta il richiamo è ad una visione se non di lungo, almeno di medio periodo che al momento sembra mancare nel legislatore, anche a causa della pandemia dalla quale solo ora il Paese comincia ad uscire. Non resta che auspicare il sopraggiungere di tempi migliori.
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[*] Giudice amministrativo in servizio presso il T.A.R. della Toscana e componente del consiglio direttivo dell’ANMA.
[1] Di tali modifiche, sotto diversa prospettiva, si è occupato Antonio Andolfi nell’articolo Ufficio del processo e smaltimento dell’arretrato.
[2] Vedi il d.P.C.M. 27 marzo 2013.
[3]Il testo del decreto è pubblicato nella G.U. 183 del 2 agosto 2021.
[4] G.P. Cirillo, Il nuovo diritto processuale amministrativo, Cedam 2014.
[5] Secondo altra autorevole opinione, ai fini dell’utilizzo della sentenza in forma semplificata il presupposto della situazione manifesta della controversia è alternativo alla specifica previsione legislativa del suo utilizzo in determinate materie. Vedi R. de Nictolis, Processo amministrativo, IPSOA 2019.
[6] In merito, si vedano le conclusioni dell’articolo Breve presentazione del concorso per referendario T.A.R. di Luca Cestaro.