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Presentazione minima dell’associazionismo giudiziario ad uso dei giovani magistrati (amministrativi)

di Luca Cestaro*

Presentazione minima dell’associazionismo giudiziario ad uso dei giovani magistrati (amministrativi)

Introduzione

Il magistrato amministrativo neoassunto è spesso travolto dall’entusiasmo dei colleghi già in servizio che gli riservano un’accoglienza amichevole e prodiga di informazioni operative (trattamento economico, scelta della sede ecc.), particolarmente utili a chi proviene da altre carriere[1]

Lo stupore iniziale per la calorosa accoglienza lascia presto il posto a un atteggiamento cauto man mano che diviene evidente che i colleghi più attivi sono impegnati nella vivace vita democratica della categoria e, in questo senso, sono espressione delle diverse anime dell’associazionismo giudiziario. Tale fenomeno, nelle sue degenerazioni, ha raccolto -specie in epoca recente – molte critiche e tanto, talvolta, induce a una certa diffidenza.

Al netto di talune forme di invadenza fatalmente sgradite a chi è impegnato in una, spesso complessa, rivoluzione professionale, l’associazionismo costituisce, come brevemente si proverà a rappresentare nelle righe che seguono, un fenomeno che, per un verso, è fisiologico e che, per altro verso, costituisce un elemento di ricchezza nell’ordinamento delle magistrature; la descritta diffidenza può allora risultare ingiustificata e forse persino ingenerosa.

L’associazionismo giudiziario come espressione di democrazia

Sul ruolo culturale e sull’impatto dell’associazionismo giudiziario nell’ambito della giustizia ordinaria basti il richiamo all’interessante riflessione di Ettore Manca, Magistratura ordinaria: associazionismo e correnti tra valori e potere.

Va, altresì, osservato che, in ogni forma di consesso democratico,  gli individui si uniscono in funzione del perseguimento di obiettivi e di ideali comuni. Dall’assemblea di condominio a quella dell’ONU, si formano e si confrontano coalizioni contraddistinte da finalità condivise.

Se il fenomeno dell’aggregazione spontanea di individui uniti da una comune idealità è fisiologico, allora la critica indistinta all’associazionismo giudiziario si rivela come un attacco alla stessa esistenza di una vita democratica all’interno delle magistrature. Difatti, fino a che si potrà votare – secondo il modello costituzionale di magistratura indipendente dagli altri poteri – per l’organo di autogoverno (oltre che per le associazioni rappresentative), sorgeranno dei gruppi di individui aggregati intorno a idee comuni e che condividono una determinata sensibilità sulle questioni di politica giudiziaria.

L’unico modo per evitarlo è, a ben vedere, impedire qualunque processo democratico, ma questo non è fortunatamente possibile nell’attuale assetto ordinamentale.

Occorre, allora, concludere che se vanno combattute le degenerazioni del processo democratico quali sono quelle recentemente emerse nel dibattito pubblico (il cd. correntismo), non sarebbe né (costituzionalmente) possibile né utile abolire il processo democratico in sé come avverrebbe se si desse luogo a modalità di selezione non elettive (es. il sorteggio) dei componenti dell’organo di autogoverno.

Del resto, l’impegno associativo e di ascolto – spesso assai duraturo – che precede l’elezione in tali organi è fondamentale affinché gli eletti possano essere non solo rappresentativi dei colleghi (nel senso di raccogliere l’apprezzamento degli elettori), ma anche qualificati all’incarico. Un simile impegno, infatti, consente di conseguire un’approfondita  conoscenza delle problematiche ordinamentali, organizzative e, in senso lato, lavorative dei colleghi.

E proprio la rappresentatività e la qualificazione appena descritte rafforzano il ruolo dei componenti togati degli organi di autogoverno nella difesa dell’indipendenza della funzione e del singolo magistrato rispetto ai frequenti attacchi derivanti dall’esterno.

Le peculiarità dell’associazionismo nel mondo della Giustizia Amministrativa

Quanto, più specificamente, al mondo della giustizia amministrativa, occorre operare una considerazione preliminare.

Nella magistratura amministrativa, le promozioni (per gli incarichi di cd. direttivi e semidirettivi) avvengono per anzianità senza demerito. Ciò implica un basso, quando non inesistente, tasso di discrezionalità nelle nomine. Tale circostanza vale a elidere la principale degenerazione “correntistica” di cui dibatte la pubblica opinione ossia quella relativa alle nomine a capo degli uffici giudiziari “ordinari”, talvolta guidate da logiche non solo meritocratiche. In merito, si richiama quanto scritto nel paragrafo “Le prospettive di carriera” dell’articolo “Breve presentazione della carriera del magistrato del TAR e del relativo concorso”.

Depurata della principale degenerazione, allora, la capacità dei magistrati amministrativi di aggregarsi al fine di perseguire obiettivi comuni presenta una netta prevalenza di aspetti positivi che contraddice le prese di posizione in senso contrario assunte da esponenti di vertice e non.

L’ordinamento e l’indipendenza interna

In primo luogo, può dirsi che l’esistenza di associazioni di magistrati amministrativi, di primo come di secondo grado [2], consente alla Giustizia Amministrativa di riflettere su sé stessa, creando occasioni di dibattito e di confronto tra le sue diverse anime che, non di rado, trovano una posizione comune su molti aspetti, legati a questioni dai tratti più sindacali o agli attacchi provenienti dall’esterno.

Al di là delle azioni comuni, l’associazionismo ha avuto il merito di creare un dibattito, per lo più interno, ma sempre più spesso portato all’attenzione della politica (si veda il dibattito svolto nell’incontro organizzato dall’A.N.M.A. a Manduria) circa l’inappagante sistema ordinamentale che – unico esempio nel nostro Paese – si fonda su un’artificiosa divisione delle carriere tra primo e secondo grado.

L’attenzione ai temi ordinamentali delle associazioni di categoria è valsa, in passato, ad equilibrare il peso delle diverse componenti nell’organo di autogoverno: con la legge 205/2000, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa ha assunto la composizione attuale nel cui ambito non è scontata, come avveniva prima, la prevalenza delle componenti più direttamente legate al vertice dell’Istituto. In tal senso, può dirsi che la grande maggioranza dei magistrati amministrativi, grazie all’attività dell’A.N.M.A. (e delle anime che la componevano), ha ottenuto che la funzione di autogoverno si spogliasse di quel tratto gerarchico che, pur ancora presente (nella magistratura amministrativa ancora esistono le qualifiche, abolite sin dagli anni ’70 nella magistratura ordinaria), era in passato persino prevalente.

I magistrati di tutte le giurisdizioni si distinguono solamente per la diversità di funzioni (art. 107 della Costituzione) e tanto implica che i rapporti interni debbano essere improntati a un criterio di parità rifuggendo da impostazioni gerarchiche. Lungi dall’essere un discorso teorico, l’attività associativa è stata spesso guardiana dell’indipendenza interna del giudice amministrativo che, nell’ambito di un’attività giudiziaria solo collegiale, se prevalesse un’impostazione gerarchica, potrebbe essere indebitamente condizionata nelle decisioni dagli orientamenti dei colleghi con qualifiche e/o funzioni direttive (ossia dei colleghi che presiedono i collegi e formano i ruoli delle cause da decidere). Molti dei magistrati amministrativi attualmente in servizio hanno potuto osservare la diminuzione dei tratti gerarchici nella gestione dei collegi, ottenuta anche mediante sacrifici personali e aspri dibattiti all’interno delle associazioni e del Consiglio di Presidenza.

Il principio del carico di lavoro massimo esigibile, tradotto in una espressa e articolata disciplina sulla cui osservanza vigila il Consiglio di Presidenza (che l’ha emanata), contribuisce allora in modo fondamentale al mantenimento dell’indipendenza interna dei giudici relatori. Questi, infatti, in mancanza di regole per l’assegnazione dei fascicoli, si troverebbero in condizione di sudditanza psicologica nei confronti del presidente del collegio, dotato di un potere di modulare il lavoro dei colleghi privo di limiti. Nell’ambito di una carriera che per molti magistrati (quelli entrati in età più avanzata) si svolge interamente o quasi nella posizione di relatore, la possibilità di vivere in un contesto di completa indipendenza interna è evidentemente fondamentale, oltre che sul piano del corretto esercizio della funzione, per un sereno svolgimento delle proprie alte funzioni.

Tornando alla funzione di autogoverno, di recente, si è assistito al (secondo) tentativo di modificarne la composizione alterandone gli equilibri a favore del vertice dell’Istituto[3], aumentando i componenti di diritto in modo da rendere pressoché irrilevante la componente elettiva. Ebbene, la mobilitazione dell’associazione e la minaccia di dimissioni di sette dei componenti elettivi dell’organo di autogoverno hanno indotto il Parlamento ad accantonare l’ipotesi[4].

L’associazionismo giudiziario si pone, quindi, come custode dell’indipendenza interna e come ostacolo alla tentazione di riportare la Giustizia Amministrativa verso un’anacronistica impostazione gerarchica.

La funzione sindacale e di tutela esterna

Le associazioni dei magistrati amministrativi partecipano al comitato intermagistrature e sono, da sempre, parte attiva nelle questioni che riguardano i profili economici e previdenziali. Di recente, la sensibilità maturata in sede associativa sulle questioni previdenziali ha consentito di superare (per chi lo chieda) l’applicazione dell’istituto del cd. massimale contributivo che, sino all’approvazione del D.L. n. 4/2019, si applicava a tutti i magistrati (amministrativi e non) nonostante che non fossero state attivate quelle forme di previdenza complementare che costituivano, secondo l’idea originaria, il necessario complemento del massimale stesso. Le medesime associazioni vigilano sull’applicazione dei meccanismi di adeguamento delle retribuzioni previsti dalla legge e si adoperano su tutti gli aspetti, in senso lato, sindacali (che vanno dalla dotazione informatica, all’adeguatezza delle sedi) e ciò tanto sul piano interno (confrontandosi con l’amministrazione e con l’organo di autogoverno) quanto sul piano esterno (confrontandosi con il Governo e il Parlamento).

Inoltre, le associazioni intervengono sovente a difesa della funzione mostrando pubblica solidarietà ai colleghi eventualmente attaccati e contribuendo a impostare una corretta informazione circa le decisioni di maggiore interesse mediatico che, non di rado, sono travisate e strumentalizzate nel dibattito pubblico.

Conclusioni: la vita democratica e lo spirito di corpo

Gli esempi sopra riportati sono solo alcuni tratti dalla variegatissima attività associativa che, più in generale, consente di strutturare una vera e propria forma di coscienza comune dei magistrati (amministrativi e non) nonostante le fisiologiche divisioni tra i diversi gruppi associativi.

L’applicazione stessa di schemi democratici consente l’accantonamento del (nefasto) modello gerarchico così come di pratiche ascrivibili al cd. “nonnismo”, presenti in altre realtà; ciò avviene poichè, banalmente, ciascun magistrato, a prescindere dall’anzianità di servizio, entra a far parte del corpo elettorale. L’accoglienza riservata ai neoassunti, sebbene a volte un po’ invadente e maldestra, fornisce, sin dal primo momento, il senso di una forte colleganza tra eguali che costituisce uno dei tratti della nostra Magistratura. Sin dall’inizio del servizio, il magistrato è posto nella condizione di vivere la peculiarità del proprio status contraddistinto da elevate responsabilità, ma anche da un’autonomia e un’indipendenza che, necessarie al corretto svolgimento della funzione, possono svilupparsi appieno solo in un contesto di reciproca solidarietà e protezione dalle sollecitazione e dagli attacchi provenienti dall’esterno.

In altre parole, lo spirito di corpo, cementato dall’attività associativa e dalla dialettica democratica interna, costituisce di per sé una protezione dalle pressioni, contribuendo allo svolgimento indipendente della funzione. In questo senso, può dirsi che il minimo comun denominatore di ogni gruppo che anima la vita democratica della categoria sia, appunto, la difesa dello svolgimento indipendente della funzione giurisdizionale.

L’esistenza di processi democratici interni alle magistrature e, in particolare, alla magistratura amministrativa, quindi, presenta aspetti positivi di gran lunga prevalenti rispetto a quelli negativi che, quanto al mondo della G.A., si sostanziano in qualche eccesso polemico tra i diversi gruppi e le diverse componenti. Tali eccessi sono, com’è stato detto, inevitabili nel Paese che fu dei guelfi e dei ghibellini, ma restano di gran lunga preferibili all’attenuazione del livello di democraticità dei processi decisionali, attenuazione che lascerebbe inevitabilmente spazio a una intollerabile gerarchizzazione interna e a una significativa debolezza rispetto agli attacchi interni.

***

[1] Io stesso, da ex segretario generale dell’A.N.M.A., ho contribuito a ripristinare l’uso di donare la toga “d’onore” al primo classificato del concorso T.A.R. proprio nell’ottica della migliore accoglienza possibile ai neoassunti.

[2] Le principali associazioni sono l’A.N.M.A., la più rappresentativa con oltre 300 iscritti, che raccoglie la gran parte dei magistrati dei T.A.R. e anche parte dei Consiglieri di Stato; il C.O.N.MA che rappresenta, in prevalenza, i Consiglieri di Stato di provenienza T.A.R.; l’AN.M.C.d.S. che rappresenta, in prevalenza, i vincitori di concorso al Consiglio di Stato e i Consiglieri di Stato di nomina governativa.

[3] Ci si riferisce all’emendamento 17.100 all’A.S 2272, di iniziativa parlamentare, presentato in sede di conversione del D.L. 80/2021.

[4] In merito, si vedano le news del sito dell’A.N.M.A., www.magistratiamministrativi.it  del mese di luglio 2021.

 

* magistrato amministrativo in servizio presso il T.A.R. Campania, già Segretario generale dell’A.N.M.A.