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Ufficio del processo e smaltimento dell’arretrato

di Antonio Andolfi*

Ufficio del processo e smaltimento dell’arretrato

Con la legge 6 agosto 2021, numero 113, è stato convertito in legge, con modificazioni, il decreto-legge 9 giugno 2021, numero 80, recante misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni, funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza e per l’efficienza della giustizia amministrativa.

Pressoché contestualmente, con il decreto del 28 luglio 2021, il Presidente del Consiglio di Stato ha dettato le linee guida per lo smaltimento dell’arretrato della giustizia amministrativa.

È stato così completato il quadro normativo per il perseguimento degli obiettivi stabiliti dal “Recovery plan” per la giustizia amministrativa.

Su tali obiettivi e sulle modalità adottate per il raggiungimento degli stessi si è già espressa in senso critico la collega Gia Serlenga, presidente dell’Associazione nazionale magistrati amministrativi, in un articolo pubblicato nella rivista “Guida al diritto” del 10 luglio 2021.

Le considerazioni critiche svolte dalla collega possono essere approfondite alla luce del completamento del quadro giuridico.

È già stato osservato, condivisibilmente, che gli impegni assunti con l’Unione europea per lo smaltimento dell’arretrato gravante sulla giustizia amministrativa sono di assai difficile adempimento.

Riprendendo i dati resi noti dalla presidente Serlenga nell’articolo citato, è opportuno ricordare che nei prossimi 5 anni ci siamo impegnati a definire il 70% dell’arretrato, identificato con i ricorsi proposti fino alla data del 31 dicembre 2019 e ancora pendenti alla data odierna.

Si tratta di 173.969 ricorsi, di cui 149.958 pendenti innanzi ai tribunali amministrativi di primo grado e 24.010 pendenti in appello.

Lo strumento prescelto per lo smaltimento di questa immensa mole di arretrato è il lavoro straordinario dei magistrati amministrativi in servizio, coadiuvati da un determinato numero di giovani laureati assunti con contratto a tempo determinato e destinati a lavorare presso gli uffici del processo, uffici già incardinati nei principali uffici giudiziari amministrativi, ma con risultati finora oggettivamente insignificanti.

Il lavoro straordinario dei magistrati amministrativi, chiamati, volontariamente, a partecipare ad un certo numero di udienze straordinarie, aggiuntive e appositamente retribuite, non è una novità, essendo da tempo approvati piani annuali di smaltimento dell’arretrato fondati, appunto, su udienze straordinarie a partecipazione volontaria.

Finora queste udienze straordinarie hanno consentito di ridurre l’arretrato in misura inferiore al 10%.

Risulta difficile immaginare che le future udienze straordinarie riescano ad abbattere l’arretrato del 70% nell’arco temporale di 5 anni.

La novità, rispetto ai precedenti piani di smaltimento dell’arretrato, consiste, come si è detto, nel potenziamento del finora fallimentare ufficio del processo.

Per comprendere la possibile utilità dell’ufficio del processo potenziato è necessario esaminare le linee guida dettate dal decreto del Presidente del Consiglio di Stato precedentemente richiamato.

Questo nuovo ufficio del processo dovrebbe, innanzitutto, esaminare quotidianamente i ricorsi appena depositati, per accertare se sussistono profili che ne rendano immediata la definizione, presentando un evidente vizio processuale oppure in quanto proponenti questioni già affrontate dalla giurisprudenza consolidata.

Già questo primo compito, non strettamente legato all’abbattimento dell’arretrato, in quanto rivolto a prevenire la formazione del futuro arretrato, presenta evidenti problematicità.

Se fosse possibile esaminare quotidianamente, seppure sommariamente, tutti i ricorsi che vengono depositati, per selezionare quelli di pronta e facile definizione, non vi è dubbio che tale lavoro sarebbe stato svolto da sempre dai presidenti delle sezioni coadiuvati dal personale di segreteria.

La individuazione delle questioni che consentono la immediata definizione in rito di un processo così come il riconoscimento di questioni già affrontate in passato e sulle quali si è formata una giurisprudenza consolidata richiede una esperienza giurisdizionale che un magistrato amministrativo può acquisire soltanto dopo svariati anni di servizio.

Inoltre il numero di ricorsi quotidianamente depositati e le dimensioni degli stessi, normalmente comprendenti decine di pagine, anche al di là dei limiti che sarebbero consentiti dalle disposizioni sulla sinteticità degli atti processuali, spesso disapplicate, hanno reso finora impossibile questa scrematura che pure i presidenti delle sezioni e il personale di segreteria, esperto in materia processuale dopo anni di servizio, avrebbero potuto operare in linea teorica.

Appare francamente improbabile che i giovani laureati assunti con contratto a tempo determinato possano rivelarsi talmente fenomenali da compiere un lavoro che non è riuscito fino ad oggi ai migliori magistrati e ai funzionari professionalmente più esperti.

Come se non bastasse, questi giovani laureati dovrebbero valutare, sempre per questi nuovi ricorsi, l’opportunità di acquisire documentazione istruttoria e l’eventuale necessità di integrare il contraddittorio con altre parti processuali.

Sembra perfino inutile sottolineare come gli adempimenti istruttori fino ad oggi non sono stati quasi mai delegati neppure ai magistrati amministrativi e sono stati disposti soltanto in esito alla valutazione collegiale successiva allo studio del ricorso, per cui anche questo compito appare di ardua fattibilità per i giovani laureati assunti a tempo determinato.

Come se non bastasse, questi giovani laureati dovrebbero esaminare anche tutti gli altri ricorsi pendenti, anche qui per verificare se essi presentino vizi processuali risolvibili in rito, se siano dibattute questioni sulle quali si è già formata giurisprudenza consolidata, se sia necessaria attività istruttoria, se sia richiesta l’integrazione del contraddittorio.

Siamo veramente al di là di ogni ragionevole aspettativa.

Ma non basta.

Gli infaticabili lavoratori addetti all’ufficio del processo dovrebbero anche ricercare i processi interrotti o sospesi e, una volta individuati gli stessi, indagare sulla causa di sospensione o di interruzione, per verificarne l’attualità e le conseguenze.

Non finisce qui.

Dopo aver svolto questo incredibile lavoro, gli ufficiali del processo dovrebbero analizzare le pendenze, i flussi delle sopravvenienze, organizzare udienze tematiche per le cause seriali, compilare schede per i fascicoli di causa, assistendo i magistrati mediante ricerche di giurisprudenza, di legislazione, di dottrina e di documentazione.

Infine, non da ultimo, per tutti i ricorsi pendenti dovrebbero individuare le questioni su cui si siano delineati oppure possano delinearsi, anticipando profeticamente il futuro, contrasti di giurisprudenza.

Che dire?

Un obiettivo ambizioso fa onore a chi lo assume, purché costui disponga degli strumenti adatti per realizzarlo.

Una parabola evangelica mette in guardia dall’intraprendere il progetto di costruire una casa senza disporre dei mezzi necessari, mettendo in evidenza, in caso contrario, il ridicolo cui si espone qualunque velleitario.

Nel caso degli obiettivi fissati dal “Recovery plan” il rischio non è soltanto quello del pubblico ludibrio, ma anche quello di incorrere in un pesante danno economico.

Con questo non si vuol dire che sia sbagliato abbattere del 70% l’arretrato processuale amministrativo.

È del tutto evidente che la durata ultradecennale di numerosi processi amministrativi costituisce un problema gravissimo per l’Italia.

Forse, però, l’obiettivo sarebbe stato più raggiungibile utilizzando mezzi veramente straordinari, proporzionati alla straordinarietà della missione.

Si sarebbe potuto pensare all’istituzione di sezioni stralcio, presiedute da giudici amministrativi e composte anche da giudici onorari, opportunamente qualificati.

Si sarebbe potuta introdurre una drastica semplificazione processuale, introducendo un rito monocratico per la definizione dell’arretrato, assegnando un ruolo monocratico a ciascun magistrato amministrativo, con parziale sgravio dal carico di lavoro collegiale.

Almeno, si sarebbero dovute rivedere le competenze interne di tribunali amministrativi regionali composti da più sezioni, istituendo sezioni specializzate per materie quali gli appalti, l’ambiente, il pubblico impiego.

Nulla di ciò è stato fatto e si è preferito puntare tutto sulla partecipazione volontaria alle udienze straordinarie e sulla collaborazione dei giovani laureati da assumere negli uffici del processo.

Speriamo che la scelta dia i risultati attesi.

*Magistrato Amministrativo in servizio presso il T.A.R. del Lazio (Roma)